Estathé, c’è un errore nella pubblicità in livornese: «Hanno scritto boia deh invece di dé»
La campagna comparsa sulle bacheche social promuove l’abbinamento col lampredotto
LIVORNO. Livorno e l’Estathé. Un binomio che va avanti da cinquant’anni, una storia d’amore/odio e brindisi informali, estati al mare, inverni in centro, amicizia e carie, e che oggi ha un nuovo capitolo social (al momento alquanto strano e misterioso) .
La storia
Ma procediamo con ordine: la bibita della Ferrero nata nel 1972 per volere di Michele Ferrero, pensata per conquistare il mondo con la sua immagine rivoluzionaria giovane (un tè freddo “sano” senza bollicine da far bere ai ragazzini al posto della Coca-Cola gassatissima! ), a Livorno iniziò a circolare prima che nelle altre città italiane (la leggenda narra che Livorno e Pescara furono usate per “testare” la bevanda sulle masse), tanto che, per anni, quando un livornese andava in un’altra città, fosse anche una metropoli importantissima per le tendenze e i trend come Milano o Roma, entrava in un bar e chiedeva un Estathé, rimaneva di ghiaccio nello scoprire che “non lo tenevano”. Impossibile! Qui, già agli inizi degli anni Ottanta era un must per ogni bimbo alla moda che si rispettasse avere in cartella il brick con la cannuccia da tracannare a scuola nell’intervallo.
I numeri
Oggi l’Estathé è davvero la bevanda dei record (in Italia per consumo è secondo solo alla Coca-Cola, con un fatturato di quasi cinquecento milioni di euro l’anno, +20% di vendite rispetto al 2022) e da una decina di giorni sta utilizzando una nuova campagna “local”, che si potrebbe definire “fantasma” – oltre che “inesatta” dal punto di vista linguistico (potremmo dire che c’è di mezzo un’boia dé’della discordia). A diversi utenti Facebook toscani, infatti, è apparsa in homepage un’immagine sponsorizzata che ha come claim “20 r*gioni per bere Estathé”, dove la parola “r*gioni” è interpretabile sia come “ragioni” che come “regioni” e nella foto a corredo (accompagnata dalla didascalia: “Buona r*gione toscana: ” ) si vede un panino con il lampredotto e un brick di Estathé con lo slogan enorme “Boia deh, mi garba! ” .
La polemica
Sono bastate queste poche parole evidenziate in bianco sul classico sfondo giallo-arancio del marchio per far scattare la rivolta dei livornesi (oltre a quelli che si sono sdubbiati dell’abbinamento del tè freddo col lampredotto): “deh” non si scrive così. Non il nostro dé. Come si dice? Se volevano fare i livornesi l’hanno buttata di fòri di brutto. Una volta per tutte, il dé livornese è solo con l’accento acuto, quello chiuso della parola “perché” (l’altro è quello grave, della e aperta del verbo essere in terza persona, “è”) e soprattutto senz’acca.
Dé e non Deh
L’equivoco del “deh” con l’acca ci perseguita dal Medioevo, anche per colpa del buon Dante Alighieri. Nella Divina Commedia, nel Canto quinto del Purgatorio ci sono parecchi “deh”, ma quello è il “deh” vocativo. Ai versi 49-51 si legge: «Guarda s’alcun di noi unqua vedesti, sì che di lui di là novella porti: deh, perché vai? deh, perché non t’arresti?».
Parola di Cardinali
È il direttore del Vernacoliere Mario Cardinali, raggiunto al telefono, a fare ulteriore chiarezza: «Basta prendere il vocabolario. Il deh vocativo è un’esclamazione che introduce di solito una preghiera o precede l’espressione di un desiderio. Invece il “dé” livornese è una mutazione vocalica probabilmente del di’livornese. Le vecchie livornesi dicevano di’, forse abbreviando il dimmi , forma tronca dell’imperativo. Del dé livornese è proprio diverso l’uso dal deh vocativo: il nostro “dé” può introdurre un discorso (”Dé, ero lì e t’ho visto uno che mi rubava i limoni’n giardino…”), è anche un rafforzamento del discorso (“Sicché n’ho detto’O Buonero! ’. E lui, dé, m’ha risposto! ” ), e si può usare come conclusione (“…Allora io l’ho sciagattato, dé! ” ). Può rafforzare un’altra esclamazione (“Boia dé! ” ) o un sostantivo (Che caarìtto, dè! ” ) e può essere adoperato in qualsiasi occasione un livornese voglia far capire d’essere livornese». Ora spieghiamolo alla Ferrero (che abbiamo contattato senza avere risposta) e alle sue 20 r*gioni. Tra l’altro, a ben guardare, a proposito di correttezza fonetica, anche l’accento su “Estathé” è sbagliato. Per pronunciarlo “tè” dovrebbe essere “grave”, dunque girato dall’altra parte. Così suona come “Esta-dé”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA