Venticinque anni di Ovosodo, il film che raccontò Livorno al mondo
Il 6 settembre 1997 la proiezione trionfale alla Mostra del Cinema di Venezia. Un viaggio non solo nei luoghi, ma anche tra le facce e la verve dei livornesi
LIVORNO. 6 settembre 1997. Da questa data, la storia del cinema italiano (e “livornese”) non è stata più la stessa. Quel giorno, la commedia con venature malinconiche esistenziali “Ovosodo” di Paolo Virzì vince a mani basse il “Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria” alla 54° Mostra del Cinema di Venezia. Il Leone d’Oro invece se lo aggiudica “Hana-Bi”, capolavoro del regista e attore giapponese Takeshi Kitano (giusto per capire che edizione fu, i Leoni d’oro alla carriera andarono a Stanley Kubrick, Gérard Depardieu e Alida Valli).
Jane Campion, regista di “Lezioni di Piano” e di “Ritratto di Signora”, presidentessa di giuria, impazzisce per questo divertentissimo “Hardboiled Egg” (titolo internazionale), il film “made in Livorno” del proverbiale “Ovosodo dentro, che ‘un va né in su né in giù, ma che oramai mi fa compagnia come un vecchio amico”.
Paolo Virzì, classe 1964, trentatré anni all’epoca, con alle spalle (già) la regia di due gioielli (“La bella vita” del 1994, con Sabrina Ferilli, ambientato interamente a Piombino e il profetico “Ferie d’agosto” del 1995) e due David di Donatello già sulla mensola (Miglior regista esordiente per “La bella vita” e Miglior film per “Ferie d’agosto”), col sodale Francesco Bruni (nato a Roma ma cresciuto a Livorno, co-sceneggiatore di tutti i film di Virzì fino al “Capitale umano”), non sbaglia un colpo.
Era dai tempi di “Mare Matto” di Renato Castellani (1963), co-produzione italo-francese con Jean Paul Belmondo, Gina Lollobrigida e Tomas Milian che Livorno e la livornesità non si ritrovavano così al centro di una storia di una pellicola cinematografica di serie A che facesse parlare di sé con questa eco.
La città, già in subbuglio al momento delle riprese nella primavera del 1997 – che interessarono e coprirono tutti i luoghi iconici da nord a sud (da piazza Roma al Civili, dalla Baracchina Bianca alla Guglia passando per la Villa Fabbricotti trasformata nel Liceo Classico) – all’uscita nelle sale, il 12 settembre, letteralmente, impazzisce. Non solo per i luoghi, anche per le facce che popolano la storia. Sono molti i concittadini che lasciano a bocca aperta per la spontaneità e la verve interpretativa in ruoli chiave, mescolati con gli attori professionisti; centinaia le comparse che fanno capolino in ogni inquadratura.
“Ovosodo” è una corale fotografia d’epoca che non perde mai smalto ad ogni visione anche perché ci permette di (ri)scoprire “come eravamo”. Sono livornesi il protagonista maschile, Edoardo Gabbriellini (Piero Mansani), l’amico Toto Barbato (Mirko), Pietro Fornaciari (il babbo di Piero, Nedo), Monica Brachini (Mara, la seconda moglie di Nedo), Alessio Fantozzi (Ivanone, fratello di Piero) e ancora Paolino Ruffini, Giorgio Algranti, Emanuele Barresi, Isabella Cecchi, Marco Conte, Pardo Fornaciari, Fabio Vannozzi. Tutti insieme con Nicoletta Braschi (per il ruolo della professoressa Giovanna Fornari vincerà il David di Donatello per la miglior attrice non protagonista), Claudia Pandolfi, Regina Orioli, Marco Cocci, Daniela Morozzi.
La trama è nota: con un montaggio fulminante e velocissimo (di Jacopo Quadri) e colori sgargianti e pop (del direttore della fotografia Italo Petriccione) seguiamo la vita, l’infanzia e le prime esperienze, dagli otto ai vent’anni, di Piero Mansani, livornese doc di un quartiere popolare, cresciuto nel degrado e con la famiglia allo sbando (il padre entra ed esce di prigione), mentre cerca di costruirsi un futuro attraverso lo studio, per scampare alla Megaditta che assorbe tutto e tutti e incombe sulla città fin dalle prime inquadrature. Nel mezzo, una miriade di scene strappa-applausi diventate di culto per generazioni in tutta Italia, come quella di “WYOMING” (merita di essere scritto maiuscolo), al secolo Silvano Ciriello (interpretato da Vladimiro Cecconi) detto appunto “Wyoming” per la sua abilità coi rutti; “sapeva dire anche ‘baule’, ‘aiuola’, ‘Aurelia’ e ‘Palaia’, il paese della su’ mamma”, spiega la voce fuoricampo di Gabbriellini/Mansani.
Il film incassò in totale oltre tredici miliardi di lire, rivelandosi uno dei principali incassi della Stagione 1997-1998 (quella di “Titanic” di James Cameron).
Virzì tornerà poi a Livorno nel 2010 con “La Prima cosa bella” e farà una puntatina in provincia col suo “Baci e abbracci” (nel 1999), girato tra Cecina e Volterra, film nel quale confluirono anche diversi attori di “Ovosodo”. Un altro film di stampo (molto) livornese di “casa Virzì” - che è opportuno segnalare come assoluta chicca da recuperare - è “I più grandi di tutti”, deliziosa perla in salsa labronica diretta dal fratello di Paolo, Carlo Virzì, nel 2011 e interpretato (sempre) da una strepitosa Claudia Pandolfi, romana di nascita, ma ormai livornese “doc” ad honorem.