Il Tirreno

Livorno

L'Iti si apre alla città: «Qui vogliamo fare il museo dei mestieri per Livorno»

Fabrizio Bientinesi assistente tecnico e "custode" dei cimeli delle officine meccaniche dell'Iti
Fabrizio Bientinesi assistente tecnico e "custode" dei cimeli delle officine meccaniche dell'Iti

Livorno, viaggio tra i tesori nascosti dell'Istituto tecnico industriale di via Galilei

13 marzo 2021
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LIVORNO. Dall’alchimia alla chimica attraverso quelle vecchie bilance “custodite”, in attesa di essere ammirate. Così quelle beute degli anni Cinquanta, quegli apparecchi per la dimostrazione della legge di Charles, gli attrezzi, gli scheletri. Dalla stanza degli alchimisti d’epoca a quelle dei geni storici dell’informatica e della meccanica. Perché anche questo è Iti. Uno scrigno di tesori che fanno la storia dei mestieri livornesi. Uno scrigno di archeologia e modernariato industriale che vuole mettersi in mostra, attraverso la creazione di un museo vero e proprio da aprire alla cittadinanza.

«Questo è il nostro obiettivo, realizzare con tutte queste attrezzature storiche un museo della chimica, dell’informatica, della meccanica: abbiamo veramente dei pezzi unici», la dirigente Manuela Mariani è convinta di portare a termine questo obiettivo.

Apre le porte ad alcuni dei suoi tesori. Tipo quelli custoditi all’interno delle officine meccaniche, accuditi dall’assistente tecnico Fabrizio Bientinesi. Ci sono vecchie fucine con cui si forgiava il ferro che risalgono ai tempi in cui l’Iti era ancora scuola di arti e mestieri. Ci sono pistoni, fresatrici, dentatrici degli anni Sessanta.

L’alesatrice è un gioiello acquistato il 17 giugno 1964. «Di questo macchinario festeggio addirittura il compleanno», dice con orgoglio Bientinesi. «Costò quasi 7 milioni delle vecchie lire, quanto un appartamento ai tempi».

Lui accudisce “come figli” quel macchinario, insieme a tutti gli altri di quell’officina e delle altre che lui segue: lui le lava con l’apposito detergente, le smonta, le olia. «Non sono modesto: dopo 50 anni sono in perfette condizioni e funzionano ancora», continua con vanto. La sua cura maniacale consente anche di poter visionare i cosiddetti bollettini di carico dell’epoca (gli inventari), ancora scritti o con la stilografica o con il pennino. Un altro pezzo da novanta è il cosiddetto tornio revolver, uno dei primi torni con una certa automazione. Poi ci sono il maglio, una macchina che serve per battere il ferro caldo e fare il famoso ferro battuto; la taglierina, una macchina da rilegatori, serve per tagliare anche un pacco intero di pagine di libro. Questi e tanti altri sono i reperti storici. Per non parlare di quelli informatici come l’Univac 9200/2, uno dei primissimi computer a schede che ha finito la sua esistenza negli anni Ottanta. «È incredibile - chiude la dirigente - Questi tesori devono diventare patrimonio della città e trovare la giusta collocazione museale dentro all’Iti». —

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