Morto Totò Schillaci: le Notti magiche, la malattia, il reality e i gol eterni
Il bomber di Italia ‘90 è deceduto nel reparto di pneumologia dell’ospedale Civico di Palermo. Il ritratto
Non ce l’ha fatta Totò Schillaci. Il bomber di Italia ’90, 59 anni, il simbolo protagonista con l’Italia delle Notti Magiche azzurre, è morto mercoledì 18 settembre, nel reparto di pneumologia dell’ospedale Civico di Palermo dove era ricoverato dalla serata di sabato 7 settembre. Fatale una recidiva oncologica al colon retto, dove era stato precedentemente operato per due volte. Era assistito nella clinica La Maddalena, ma l’aggravarsi delle sue condizioni ha imposto il trasferimento d’urgenza nel nosocomio cittadino. L’apprensione era stata trasversale: il primo a postare un messaggio di incoraggiamento all’amico e all’ex compagno era stato lo stesso Roberto Baggio.
Della lunga sfida con la malattia, Totò, 59 anni, non aveva fatto mistero: era stato lui stesso a raccontare prima della paura al momento della diagnosi, poi le terapie e il percorso intrapreso, che comunque non lo ha lasciato indifferente. Aveva deciso di partecipare al reality Pechino Express insieme alla moglie Barbara, un anno fa, quasi come una rivincita, dopo le due operazioni per il tumore al colon superate. «La tramissione - raccontò - è stata una rivincita sul male che mi ha fatto soffrire tantissimo. Mia moglie mi ha salvato dalla depressione».
Il lutto ha colpito tutti. Dai tifosi del Messina, squadra con cui ha cominciato, alla Juventus, in cui è approdato nel 1989, senza dimenticare l’Inter e i giapponesi del Jubilo Iwata. Ha segnato ovunque Totò, oltre 200 gol in una vita sportiva arrivata al suo apice proprio in occasione del Mondiale di casa, di cui fu capocannoniere con sei gol oltre che indimenticabile simbolo di quelle notti, trascinatore e leader della Nazionale di Vicini che, sognando di vincere la coppa, dovette accontentarsi del terzo posto.
Partito dal quartiere del Cep, uno dei più difficili di Palermo, a fine carriera era tornato a vivere proprio lì, nella sua terra, dove ha rilevato il centro sportivo Louis Ribolla, in una zona polare della città, con l’obiettivo di «restituire qualcosa che mi è stato dato dalla mia città» ha sempre detto.
Gli dava profondamente fastidio che la sua Palermo potesse essere associata esclusivamente alla criminalità: e per questo non ha mai smesso di restituirle una reputazione migliore. Era ricoverato alla clinica La Maddalena anche il giorno in cui arrestarono il boss mafioso Matteo Messina Denaro. Stava facendo colazione al bar quando si ritrovò circondato dagli agenti speciali protagonisti del blitz. «Lì per lì ho pensato ad un attentato, poi i carabinieri si sono qualificati. Ben venga - disse - se un problema che si trascinava da trent’anni è stato risolto».
Le sue gesta non le ha dimenticate nessuno, con quell’esultanza capace di rivendicare tutto l’orgoglio azzurro di chi, calciando un pallone ha distribuito felicità senza chiedere niente in cambio. Addio, Totò.