Grosseto, nuovo maxi ristorante giapponese “low cost”: dov’è, quando apre e come sarà
Conto alla rovescia per l’inaugurazione. Lusso in sala e in tavola piatti di più culture asiatiche. Un format già moda gastronomica da tutto esaurito
GROSSETO. Maremma anima devota all’eccellenza enogastronomica, meglio se pluripremiata (si veda l’articolo qui sotto), con le radici bene infisse nella tradizione. Maremma col “vizietto” della novità culinaria, a patto che sia abbondante nel piatto e magra per il portafogli.
Ed che arriva una nuova maxiapertura. C’era una volta l’hamburger Made in Usa con i paninari al seguito, poi il kebab; da ultimo, un paio d’anni fa esplose la moda Poké (o Poke), direttamente dalla cucina hawaiana con pietanze a base di pesce crudo marinato, servito come antipasto o come portata principale. Nel centro storico del comune capoluogo spuntarono come funghi e quasi altrettanto velocemente – alcuni – hanno chiuso (basta fare due passi in corso Carducci).
Il nuovo concept, invece, si chiama “lusso giapponese”; perché il ristorante cinese è sempre esistito ma, almeno nel sentire comune (forse complice il famoso “Delitto”, cult trash del tris Sergio Corbucci-Tomas Milian-Bombolo) si posiziona all’altro estremo dello spettro. Sono locali di nuova concezione: grandi (grandissimi) e opulenti, imbanditi sotto ogni aspetto. Anche perché pure il giapponese è sempre esistito, e – pur grande – non appagava l’occhio, anticamera delle papille gustative.
Ecco allora che nell’estate 2023 l’ex mobilificio Bianchi, spartiacque tra le vie Fucini, Roma e Trieste, chiuso al pubblico da più di un decennio e ampio circa 5mila metri quadrati viene affittato da un imprenditore di origine asiatica e nel giro di pochi mesi si trasforma in uno dei locali di tendenza della città: “La fabbrica dei gusti”, con circa 300 posti a sedere e pienone a pranzo e a cena.
Ed eccoci al futuro prossimo di lunedì 11 con il taglio del nastro di Gohan: «Sushi di qualità a Grosseto», si legge sul sito ufficiale. La parola Gohan, in Giapponese, significa letteralmente “pasto”. E sul menu del nuovo ristorante, alle ultime rifiniture nel monolite nero opale di recentissima edificazione alle porte dell’area artigianale, in via Nepal, viene offerto «un viaggio attraverso le tradizioni culinarie multietniche, includendo specialità cinesi e thailandesi».
Vera specialità del nuovo format, però, è il prezzo “dinamico”: all you can eat con poco più di 15 euro a persona per un pranzo dal lunedì al venerdì, qualcosa di più la domenica e nei festivi; a cena il doppio o poco meno, stesso meccanismo sulla base del calendario.
A questo punto ci si potrebbe aspettare che le associazioni di categoria scendano in piazza con le torce e i forconi. Confcommercio e Confesercenti, invece, tante per restare in tema “estremo oriente”, la prendono con filosofia citando quel modo di dire attribuita di volta in volta a Confucio o a Sun Tzu, quello che comincia sedendosi sulla sponda del fiume.
Sempre meglio un fondo aperto che uno sfitto, specie se appagante alla vista, ma d’altro canto una maggiore pianificazione di nuove aperture non sarebbe un’idea peregrina. Fatto sta che i due direttori Gabriella Orlando e Andrea Biondi, infatti, preso atto della tendenza, non si lanciano in battaglie contro i mulini a vento.
«Siamo per la valorizzazione della gastronomia locale, quella che arricchisce l’accoglienza turistica e il tessuto economico del territorio», premettono entrambi, per poi tracciare un parallelo esemplificativo: «Come la grande distribuzione danneggia il negozio di vicinato, così questi maxiristoranti certamente non fanno bene ai piccoli locali».
Entrambi hanno visto passare lungo il fiume di cui sopra tanti hamburger, kebab e – da ultimo – Poké, e si dicono certi che anche questa moda lascerà il tempo che trova. Entrambi convinti che saranno i clienti a decidere.
«Proprio ieri mattina parlavo con un collega di un’associazione di categoria del settore agricolo, che mi faceva notare come siamo disposti a spendere decine di euro l’olio che va nella macchina ma solo pochi spiccioli per quello che finisce nel nostro stomaco. La qualità si paga, e qui siamo di fronte a un food low cost: se non ha un minimo di prezzo non può essere cibo di qualità», riassume Biondi.
Non diverso il commento di Orlando, che ammonisce: «Siamo di fronte a una sfida molto più complessa rispetto a quanto può apparire in superficie. Viviamo in un mondo in cui ci propinano fake in continuazione: alcuni siamo tutti in grado di riconoscerli a colpo d’occhio e altri meno; e nel mondo del commercio esiste anche la concorrenza combattuta a colpi di recensioni fasulle, tanto che il nostro nazionale ha addirittura aperto uno sportello che si chiama proprio “Sos recensioni”».
Sono i clienti, appunto, che decidono; di seguire la moda così come di lasciarla, decretandone il successo oppure il fallimento. E se tanti locali aprono e chiudono, tanti altri restano ed entrano a far parte della nostra dieta. Basta guardare nella direzione di via Senese.