Capalbio, uccise la moglie con 28 coltellate: ergastolo confermato in appello
La perizia psichiatrica lo ha definito capace di intendere e volere. I giudici fiorentini hanno confermato anche il risarcimento di un milione in favore dei familiari di Madalina costituitisi parte civile
CAPALBIO. La Corte di assise di appello di Firenze ha confermato ieri pomeriggio la pena dell’ergastolo per Adrian Luminita, 42 anni, riconosciuto anche in secondo grado colpevole dell’omicidio della moglie Elena Madalina, 32 anni, con ben 28 coltellate; aveva poi cercato di disfarsi del cadavere della donna, bruciandolo. Un fatto avvenuto il 6 dicembre 2020 in una villa di Pescia Fiorentina.
I giudici hanno accolto la richiesta della Procura generale e del difensore di parte civile, l’avvocato Leonida Calvisi (con Camilla Tommasi), confermando anche il risarcimento dei familiari della giovane donna: un milione di euro, stabilito sempre in primo grado. La Corte di assise di appello ha preso la decisione dopo aver ascoltato in aula il dottor Michele Sanza, di Cesena, incaricato nella precedente udienza ad aprile di una perizia psichiatrica: lo specialista ha spiegato che Luminita è pienamente capace di intendere e volere. La perizia era stata richiesta, senza però essere accolta, anche nel processo di primo grado davanti alla Corte di assise presieduta da Adolfo Di Zenzo (a latere Laura Previti). Adrian, detenuto a Firenze, era presente in aula. Il suo difensore, l’avvocata Maria Cristina Calamani di Roma, si è spesa a lungo per criticare gli esiti della perizia, ritenendo che il comportamento tenuto dall’imputato nei momenti successivi al delitto siano del tutto compatibili con una capacità di intendere grandemente scemata. Dice a questo proposito l’avvocato Calvisi: «Quegli stessi fatti sono invece testimonianza di grande lucidità. Quali? Luminita aveva spostato il corpo al centro della sala. Aveva messo in mano a Madalina il coltello, tra l’altro sbagliando la mano, la sinistra invece che la destra (la donna non era mancina) e anche il verso dell’impugnatura. Aveva nascosto il coltello nel groviglio dei cavi retrostanti una pianola. Tutto ciò dimostra che era pienamente lucido, come lo era nel corso dell’interrogatorio. Aveva solo messo in atto un tentativo maldestro» di confondere le acque, come quando aveva raccontato che c’era stata una lite e che l’aggressione era stata reciproca e che lui aveva soltanto cercato di difendersi. Gli stessi elementi visti in maniera antitetica.
Avevano scritto i giudici grossetani quando avevano negato le attenuanti a Luminita: «Deve desumersi come risulti arduo, ed ingiusto, pervenire a concedere un beneficio ad un uomo che ha tolto la vita alla propria moglie, dopo averla colpita con ventotto coltellate, salvo poi cercare di convincere l’autorità giudiziaria e i giudici di questa Corte, che è stato lui a difendersi, e che era gravemente malato».
Serviranno due mesi per conoscere le motivazioni. «Intanto posso dire che la sentenza di primo grado è stata riformata in due aspetti – aggiunge l’avvocato Calvisi – In appello non sono state riconosciute né la minorata difesa, cioè le circostanze di tempo e di luogo, né le sevizie. Ma i giudici oggi hanno riconosciuto l’aggravante principale, quella del gesto compiuto contro il coniuge: e questo riconoscimento ha fatto sì che la pena dell’ergastolo non potesse che essere confermata».