Kevin Rebello è tornato, ma è come se non avesse mai lasciato l’isola
ISOLA DEL GIGLIO. Entra nel market di Elsa Pini, davanti al porticciolo. «Ciao Kevin», lo accoglie con un sorriso Elsa. «Bello, come stai?». «Volevo una bottiglia d’acqua», dice lui mentre tira fuori il borsello. «Macché, ci manca...», gli dice Elsa. «No no, insisto – sorride lui – ecco qui».
Una cliente entra in quel momento: «Kevin, ciao caro», lo saluta con occhi pieni di affetto.
Kevin Rebello è tornato sull’isola del Giglio. Anzi, no se ne è mai andato. Per oltre mille giorni questo ragazzo è venuto in questa piccola isola del Mediterraneo, a lui sconosciuta prima del naufragio della Concordia. È venuto a cercare suo fratello Russell, membro dello staff di bordo, il cui corpo fu ritrovato dopo quasi tre anni. Il suo dolore composto, la sua forza, il suo contegno, la sua delicata educazione sono stati un esempio per tutti, in questi anni.
Prima di tutti per la Protezione civile, che ieri, ai piedi della scalinata della chiesa, per mano di Franco Gabrielli e di Fabrizio Curcio, ex e attuale capo della Protezione civile, gli ha consegnato un “crest”, un simbolo del dipartimento della Protezione civile, come riconoscimento «per quello che con il suo comportamento ha insegnato in questa lunghissima attesa per la ricerca del fratello».
«Non me lo aspettavo, è un grande onore per me», ha detto Kevin, emozionato. Umile, dignitoso.
Che effetto fa dopo dieci anni tornare al Giglio. «Me lo chiedo anch’io: venire al Giglio, sentire tutto il calore e tutto quel che stanno facendo per commemorare questi dieci anni è una cosa incredibile. Devo ringraziare i gigliesi e il sindaco Ortelli che stanno dando molta importanza a questa cosa. Anche per le persone che hanno salvato i naufraghi: è un gran messaggio», dice Kevin davanti al mare del Giglio.
Russell passava mesi a bordo. In quei periodi, i fratelli si scambiavano qualche messaggio, «ma veloce, perché lui lavorava molto. Lo faceva con grande passione».
E forse proprio quel «senso di completare il suo dovere lo ha portato a completare il suo dovere, quella notte, a fare quello che non era il suo lavoro, salvare le persone. E in quel frangente ha perso la sua vita».
Per il disastro della Concordia il comandante Francesco Schettino è stato giudicato colpevole, e sta scontando la sua pena a Rebibbia. Portando la nave a 16 nodi vicinissima alla costa dell’isola e facendola sbattere contro gli scogli, ha causato la morte di 32 persone.
L’uomo che ha provocato la morte del fratello. Eppure Kevin ha voluto cercarlo, parlargli.
«Ho cercato Schettino, perché avevo visto un’intervista in televisione in cui parlava di mio fratello – racconta Kevin –. Quando mi ha richiamato, non sapeva cosa dire. Perché cosa c’è da dire? Abbiamo parlato in modo generico in quella e in altre telefonate».
L’ultima, un’ora prima che Schettino si consegnasse al carcere di Rebibbia.
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