I mitici anni ’90 quando il potere si tinse di rosa
Dalla prefetta alla questora, tanti gli incarichi alle signore. In Comune la prima vicesindaca
GROSSETO. C’è stato un periodo, negli anni Novanta, nel quale Grosseto – dopo il fermento femminista degli anni Settanta – è tornata la capitale delle donne.
Nel 1992 sale al comando della questura Maria Alessandra Barbantini, classe 1934, in polizia dal 1961 dopo aver passato il primo concorso di polizia femminile, e che a Grosseto, dove era approdata nel 1962 da Roma, aveva diretto la polizia femminile e la squadra mobile. Fu la seconda donna in Italia a ricoprire questo ruolo (la prima questora era stata nominata a Perugia).
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Ai primi di settembre dell’anno successivo nel capoluogo maremmano arriva Anna Maria D’Ascenzo, prima donna prefetto d’Italia, all’epoca 53 anni, in polizia dal 1968. «Coniugheremo al femminile i problemi di questa provincia», dice nel suo discorso d’insediamento gomito a gomito con la questora.
Donna, in quegli anni, è anche la direttrice del carcere di via Saffi, Anna Carmineo, al fianco della quale, dal 1998, arriva in qualità di vicedirettrice Cristina Morrone, che prende le redini della casa circondariale nel 1998 e ne è tuttora direttrice (per un decennio è stata direttrice anche del carcere di Massa Marittima).
Negli anni Novanta c’è una donna anche alla direzione dell’Archivio di Stato, Serafina Bueti, che ha ricoperto il ruolo per 25 anni. E anche alla Camera di commercio, dove Franca Spinola è stata presidente dal 1991 al 1994.
Quest’ultima rimane ad oggi l’unica presidente donna mai vista alla Cciaa maremmana, mentre le altre istituzioni hanno continuato ad avere ai vertici, in modo continuativo o sporadico, direttrici e presidenti donne. Oltre alla già citata direzione del carcere, anche l’Archivio di Stato è stato ed è guidato da donne: Fiorenza Gemini fino alla scorsa primavera, Maddalena Curti oggi. Così come la prefettura, al cui vertice c’è oggi Anna Maria Manzone, e la questura, in passato guidata da Maria Rosaria Maiorino.
Una carica, a Grosseto, rimane però tabù. Quella di sindaca. Alle ultime elezioni comunali, la scorsa primavera, partiti e liste civiche hanno schierato in campo otto – otto – uomini. Non una donna.
Eppure proprio negli anni Novanta, gli anni della “Grosseto donna”, una signora si avvicinò per la prima volta nella storia della città alla fascia tricolore. E la indossò, nelle occasioni ufficiali, quando il sindaco era impegnato.
Fu Annamaria Spada, prima vicesindaca del capoluogo maremmano, nominata da Loriano Valentini. Per la seconda, e fino ad oggi, unica altra vicesindaca si dovrà aspettare dieci anni, fino all’arrivo della prima amministrazione di Emilio Bonifazi (all’epoca Ds) e la nomina di Lucia Matergi.
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Ma la prima in assoluto fu Spada. Era il 1993 e Valentini aveva appeno vinto il primo turno con il Pds. La nomina arrivò già nelle due settimane prima del ballottaggio, vide confermato Valentini per il seondo mandato. «Ci fu una sorta di congiunzione astrale particolare – ricorda con emozione l’ex sindaco – perché in molti ruoli apicali c’erano donne. Venne fuori un clima originale. Anche i media nazionali cominciarono a definire Grosseto la città delle donne. Negli incontri istituzionali ero l’unico maschio».
Valentini ricorda un’altissima collaborazione. «Personalmente mi trovai benissimo: i rapporti sono stati molto proficui con tutte», dice.
Alla domanda se abbia trovato una differenza a lavorare con le donne, rispetto agli uomini, l’ex sindaco risponde senza tentennamenti. «Sì, c’è una differenza – dice –. Le donne hanno spesso coraggio ad affrontare le situazioni in modo migliore rispetto agli uomini, sono più portate a calcolare i pro e i contro, usano più libertà. Sono più schiette, non sono delle “equilibriste”». La decisione di nominare una donna vicesindaca la prese lui, in prima persona. «Era indipendente – dice – non proveniva da alcuna area politica. Era, ed è tuttora, titolare di una importante azienda agricola vicino Roselle, esponente di un mondo agricolo imprenditoriale».
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Ad Annamaria Spada andarono le deleghe per scuola, asili, decentramento e pari opportunità. «Era l’unica donna della giunta e proprio per questo le assegnai il ruolo più importante, vicesindaca».
La stessa Annamaria Spada non ha dimenticato quel periodo. Dal suo bioagriturismo “Corte degli ulivi” torna indietro con la memoria a ventitré anni fa. «Non sono una politica, cioè non sono iscritta a partiti. Insomma, vado votare sì, ma chi mi pare a me», dice sorridendo. «Feci la vicesindaca, sì, ma in quel periodo in cui si prendevano persone normali ad amministrare. Altri tre assessori venivano dalla società civile. Fu interessante e tutto sommato fu importante».
Cosa l’ha portata a quella carica? Annamaria risponde con quella schiettezza che Valentini le ha sempre riconosciuto. «Perché portavo voti che altrimenti sarebbero andati dalla parte opposta», sorride.
Il mestiere di vicesindaca lo ha imparato in fretta. Ma cosa l’ha colpita più di tutto di quell’esperienza? Da imprenditrice, avvezza al lavoro, Annamaria Spada ammette: «È stato importante per capire che quando sei un amministratore pubblico devi lavorare tanto se vuoi fare qualcosa. Un conto è fare un discorsino, e io ne ho fatti pochi; un altro è fare le cose. E io ne ho fatte tante».
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