Identità, gioco e individualità: gli ingredienti magici della Viola
La svolta dopo il Milan, ora l’attesa rivolta a domenica 20 con il Lecce
FIRENZE. La partita della svolta. Chiamata, attesa, quasi invocata in una vigilia che aveva mille motivi per mettere la sfida contro i rossoneri in cima alle aspettative di tutto l’ambiente: di Fiorentina-Milan 2-1 si parla, ovviamente, e se sarà riuscita ad assemblare tutte le esigenze della squadra di Palladino lo sapremo solo dalla ripresa del campionato che è fissato domenica 20 a Lecce. Ma ha tutto per riuscirci, ha tutto per diventare la nuova partenza: in classifica, psicologica, di convinzione. E vediamo perché può essere la partita della svolta.
Identità. La Fiorentina di domenica sera per la prima volta in stagione ha dimostrato di avere un’identità precisa, uno status appunto di squadra che non aveva avuto finora. Si è notato subito dalla convinzione con cui ha affrontato la formazione di Paulo Fonseca, dalla determinazione di scegliere il momento buono per attaccare e quello per difendere, dalla consapevolezza non solo di poter tenere testa all’avversario ma anche di poterlo battere, quasi sopraffare con le folate offensive che hanno messo sovente in difficoltà Theo e compagni. In una parola, identità. Che si crea cammin facendo, intervenendo più sull’aspetto psicologico che su quello tecnico-tattico e va dato atto a Palladino di aver avuto ragione su temi e modi: il tecnico campano ha sempre puntato sul concetto di gruppo, sul tema della famiglia (calcistica e forse di più), sull’unione che già si era creata e andava solo cementata per raccogliere i frutti di una componente che, come detto, ha valore specifico molto alto. Cosa che non si era vista in Conference League con squadre di basso lignaggio e nemmeno in campionato: in Italia e in Europa erano stati più i dubbi delle certezze e ci voleva l’occasione speciale per allontanare i primi e rinsaldare le seconde. Fiorentina-Milan 2-1, appunto.
Gioco. Ma le partite e le vittorie si costruiscono con i fatti concreti e non con i discorsi: e i fatti concreti nel calcio si chiamano gioco. Anche questo cercato da Palladino, anche questo indicato dall’allenatore ex Monza come punto d’arrivo vicino per i miglioramenti che vedeva e vede ogni giorno al Viola Park da parte dei suoi, anche questo espresso domenica sera nella “serata magica” (parole dello stesso Palladino) da dedicare al presidente Commisso (che ieri ha fatto rientro negli Stati Uniti, nuovo volo verso Firenze ipotizzato a gennaio) e ai tifosi viola. Con azioni ficcanti e ripartenze che mai o quasi mai si erano viste nelle nove partite precedenti disputate, con un’intensità e una fluidità che si sono ripetute nel corso dei novanta e passa minuti dando incisività all’azione della Fiorentina, in questo caso sì mai erano stati così convinti e precisi nel mettere in pratica i dettami di gioco voluti dal loro allenatore e cosi facendo sono passate in secondo piano le sbavature, qualche errore qua e là e nella costruzione, nella rifinitura e in fase difensiva. Più che altro ha colpito il numero dei calciatori che hanno partecipato alle varie azioni. Basta scorrere le immagini dei gol, giusto per rimanere alle cose che più contano, per rendersene conto.
Individualità. Ma il gioco è fatto di e dalle individualità, e qui viene fuori il salto di qualità della squadra viola: finora un gruppo di solisti, adesso un gruppo di soliti che danno vita a una corale. Sempre aspettando riprove e conferme, la partita contro il Milan ha ribadito che Kean (in una serata incredibile, forse irripetibile per l’ex Juventus, con rigore sbagliato, rigore provocato e traversa colpita) è il centravanti che la Fiorentina andava cercando da due anni e mezzo dopo la partenza di Vlahovic, che Gudmundsson è l’essenza del solista ma a tutto vantaggio del collettivo, che il centrocampo composto da Adli, Bove e Cataldi è l'emblema della complementarietà, che Comuzzo sotto gli occhi di Spalletti si è guadagnato a breve la chiamata in Nazionale. De Gea.
E poi David lo spagnolo. Un fenomeno. Che non si scopre certo ora, ma la naturalezza sui due rigori parati, la personalità dimostrata prima ancora di respingere i tiri di Theo e Abraham su rigore dà l’esatta dimensione del tipo di portiere che è planato su Firenze come un ufo. Sì, un fenomeno: non serve altro.