Toscana, voti e promozioni facili a scuola e il prof denuncia: è lui a essere punito
Sedici giorni di sospensione per il docente. La movitazione? Aver rivelato l’esito del collegio docenti. Nessuno però lo aveva contestato
FIRENZE. Promozioni a tavolino, voti scadenti “gonfiati” fino alla sufficienza per non bocciare chi lo avrebbe meritato. Una prassi in uso nel consiglio di classe che un docente aveva avuto l’ardire di denunciare riportando nel registro elettronico – visibile a genitori e studenti – la deliberazione ritenuta segreta. L’aver osato esprimere un dissenso su valutazioni che niente avevano a che vedere con quanto dimostrato dagli allievi negli studi è costato un provvedimento disciplinare di 16 giorni di sospensione al professore di un istituto superiore fiorentino. Uno stop imposto dal Tribunale del Lavoro e ora confermato dalla Corte d’Appello che ha respinto il suo ricorso. In sostanza il prof sosteneva, non ascoltato, che nessuno si poteva riconoscere nelle sue valutazioni e che gli atti del consiglio di classe erano da considerare pubblici.
La storia
Era il 9 aprile 2019 quando il docente nel registro di classe aveva riportato le deliberazioni del consiglio di classe, «che non erano pubbliche ma soggette ad accesso da parte dei diretti interessati, con ciò tenendo una condotta dolosa che aveva danneggiato la scuola, l’organo collegiale, le famiglie e gli alunni». Nel registro elettronico della classe VA aveva inserito la seguente espressione: «Le nefaste conseguenze delle avventate promozioni a tavolino con voto di consiglio, con non rari esempi di trasformazione del voto 1 o 2 (reale) nel voto 6 (fasullo) , ma senza, come è ovvio, che il secondo modifichi le conoscenze del primo». Insomma, promozioni immotivate e decise in opposto all’esito dei profitti scolastici dei “beneficiati”.
Nomi e promossi
Per i giudici «era del tutto irrilevante che nella contestazione non si riportasse il nominativo di specifici allievi (promossi mentre avrebbero dovuto essere bocciati) poiché, per colpire quella che lo stesso interessato rappresentava come una prassi abituale, e scorretta, dell’organo collegiale, era stata la sua stessa annotazione ad essere formulata in termini generali». Insomma, poco importa che nessuno si fosse riconosciuto fra i promossi immeritati di cui parlava il prof, ma solo per il fatto di aver sollevato il dissenso per i giudici il docente merita la sanzione disciplinare, anche se nessuno all’epoca aveva contestato la veridicità delle sue parole. In pratica, punito per aver rivelato che le promozioni in alcuni casi erano regalate.
Vietato dissentire
Il professore aveva voluto sottolineare e lasciare traccia del suo rifiuto di promuovere chi non lo meritava. E aveva reso pubbliche «personali osservazioni critiche sul fatto che, contro la sua volontà, il consiglio di classe avrebbe tradotto in un voto sufficiente situazioni nelle quali egli aveva suggerito voti ampiamente insufficienti, con ciò producendosi “nefaste conseguenze delle avventate promozioni a tavolino” che avevano dato luogo a indebite promozioni che, ciò nonostante, non erano in grado di “modificare le conoscenze” degli allievi interessati». Prima il Tribunale e poi la Corte d’Appello hanno concordato sul punto che «anche se tale annotazione non menzionava i nomi degli allievi interessati a tali “promozioni a tavolino”, avere reso pubblico in questi termini il dissenso rispetto a deliberazioni collegiali rappresentava non solo la violazione di un segreto, ma anche un’affermazione impropria che si traduceva in discredito nei confronti del medesimo organo collegiale e delle sue delibere sulla valutazione finale degli allievi». Genitori e studenti avevano così potuto leggere il parere dell’oppositore delle promozioni a tavolino. Per la scuola era un discreto.
Non importa se è vero
Ancora la Corte d’Appello: «La circostanza che l’annotazione si potesse riferire a fatti veri non ne eliminava il rilievo disciplinare, poiché vere o meno che fossero le “promozioni a tavolino” in tutti i casi non era consentito al singolo docente rendere pubblico il proprio dissenso rispetto ad eventuali delibere collegiali di tale contenuto, in quanto coperte dall’obbligo di segreto, anche perché tali espressioni critiche comportavano discredito rispetto all’amministrazione che le avrebbe adottate» secondo una logica per cui certe operazioni si fanno nelle segrete stanze, ma non si devono saperel