Firenze, gli ultimi fiaccherai in via d’estinzione tra meteo pazzo e nuovi segnali stradali
Quando sono comparsi in terra i divieti di superare i 30 chilometri un cavallo si è impaurito. Sono in 12 ad andare avanti perché «gli animali ci vogliono bene come noi ne vogliamo a loro»
FIRENZE. Sono rimasti in dodici. A Firenze i fiaccherai sembrano una specie in via d’estinzione: il loro è un mestiere non semplice, soggetto alle variazioni meteorologiche, che comporta spese e un grande impegno di cura degli animali, che vanno seguiti e addestrati. Fiaccheraio, non cocchiere come in altri luoghi, perché in Toscana il linguaggio ha una precisione che altrove se la sognano, e quindi si usa un termine che deriva dalle carrozze a nolo che andavano al santuario di Saint-Fiacre a Meaux, chiamate fiacre appunto, diverse dai cocchi, che erano di proprietà familiare, o dalle diligenze, che facevano un servizio collettivo regolare. Un mestiere antico, che porta con sé il fascino delle cose passate, generalmente ereditato dal padre o comunque da qualcuno di famiglia, ma che non sembra avere molto appeal presso le nuove generazioni: l’età media è alta, sicuramente sopra i quarant’anni, gli ostacoli sempre maggiori, a partire dalle temperature estive per arrivare alle strade del centro. «Lo spazio per muoversi è sempre minore, i percorsi difficili, ci sono molte auto, e tanti dettagli sull’organizzazione delle strade che con gli animali diventano in realtà grossi problemi», spiega Claudio Mafara, che da più di vent’anni fa questo mestiere. «Per fare un esempio semplice, quando hanno dipinto in terra i segnali di divieto di superare i 30 km/h il cavallo si è impaurito, non voleva passarci sopra e si è buttato improvvisamente tutto di lato». Bisogna saper gestire gli imprevisti con sicurezza, per evitare danni alle persone e agli animali: «Il cavallo è come una persona, bisogna verificare sempre come sta, cercare di capirlo, stabilire una relazione» aggiunge.
Le giornate cominciano nelle stalle, alle Cascine, dove i cavalli sono tenuti a pensione con un costo che si aggira attorno ai 4/500 euro al mese: dopo la pulitura, il controllo della ferratura e la scelta del cibo adatto, si attacca alla carrozza e si guadagna il centro città, piazza della Signoria o del Duomo, dove i conducenti aspettano i clienti per guidarli lungo le bellezze di Firenze. Prevalentemente si tratta di turisti, stranieri e italiani, ma anche qualche fiorentino che ha voglia di togliersi lo sfizio di un giro diverso dal solito. Poi ci sono i matrimoni, gli addii al nubilato e le occasioni speciali; diverse celebrità e qualche film, come è successo a Luca Guerrini, che ha portato Helena Bonham Carter in giro a gennaio per un documentario su James Ivory, a vent’anni di distanza dall’amatissimo “Camera con vista”: «Il mio babbo aveva partecipato alle riprese del film originario - spiega - questa volta è toccato a me portare le attrici in giro per ritrovare i percorsi fatti allora. Non è facile però lavorare con loro, non si rendono conto che non si tratta di un’automobile. È stata una giornata un po’ diversa certo, ma alla fine per me non fa molta differenza chi porto. Anzi forse gli artisti sono più complicati, perché vogliono fermarsi all’improvviso ovunque, anche quando non si può». Con gli stranieri si comunica in inglese, ma qualcuno mastica anche francese e spagnolo - almeno quanto basta per descrivere a grandi linee i monumenti davanti ai quali si passa -; poi un pranzo portato da casa per non allontanarsi dal cavallo, e quindi di nuovo pronti per il pomeriggio, fino a quando non si riporta l’animale alla stalla.
Abitualmente ogni fiaccheraio ha almeno un paio di cavalli, «ma fino agli anni Novanta lavoravano tutti con un cavallo solo - racconta ancora Guerrini - sono animali forti, è vero che i tempi sono cambiati, ma tutto quello che di bello vediamo nel centro di Firenze - il Duomo, i palazzi, le chiese - sono stati tutti costruiti con cavalli che trainavano i materiali». E prosegue spiegando come i cavalli non vengano alternati rigidamente, ma valutati di giorno in giorno per capire come stanno. La carrozza invece è sempre la stessa, manutenuta direttamente dai proprietari o con qualche aiuto in caso di necessità particolari; in Italia ci sono solo due costruttori di carrozze, ma sono piuttosto cari, e quindi i cocchi vengono acquistati piuttosto in Polonia o in Romania. «Fino a qualche anno fa costavano relativamente poco, sui cinquemila euro, ma ora anche da quelle parti i prezzi sono aumentati», precisa Mafara. Nel complesso, anche senza navigare nell’oro, è un mestiere che consente di pagare le bollette, integrando magari con qualche altro lavoretto invernale, nonostante le incognite del meteo che non consentono regolarità. Ai nemici abituali, vento e pioggia, si è aggiunto il caldo estremo delle recenti estati: «Il regolamento comunale è molto rigido anche se, in realtà, Firenze ha un impianto viario medievale, tante strade strette e ombreggiate rimangono più fresche. Ovvio che poi sopra i 37° non si esce, ma questo al di là dei divieti, lo detta il buonsenso», aggiunge ancora Claudio Mafara. Per fortuna gli inverni, di contro, sembrano più miti e quindi rispetto al passato si lavora più durante la brutta stagione che nei mesi estivi, come accaduto durante questo febbraio decisamente caldo e soleggiato. La vera difficoltà è rappresentata dai cavalli: si compra praticamente a scatola chiusa e se ci sono problemi non si rivendono facilmente. Gli allevatori sono sempre meno, anche per via degli attacchi degli animalisti: «Le loro pressioni sono molto forti, ma non capiscono che si stanno accanendo contro di noi che in realtà amiamo i nostri animali e li trattiamo benissimo. Ci sono alcuni fanatici che fanno una cattiva pubblicità senza capire che invece grazie a noi diversi animali sono stati salvati dal macello - io ho due trottatori che non corrono più e se non li prendevo io rischiavano di finire a fare corse clandestine chissà dove o al macello. I cavalli hanno sempre lavorato con gli uomini. Vivono con noi, sono accuditi, amati come figli, il nostro è uno scambio», conclude Mafara.
Gli fa eco Guerrini: «Gli animali ci vogliono bene come noi ne vogliamo a loro».
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