Il Tirreno

Firenze

L’intervista

Firenze, l’architetto Brugellis: «Città meretrice? I perbenisti si scandalizzano per le parole, ma Hollberg ha ragione”

di Sabrina Carollo
Firenze, l’architetto Brugellis: «Città meretrice? I perbenisti si scandalizzano per le parole, ma Hollberg ha ragione”

L’esperto: “La cultura diventata mercato ha spopolato il centro storico. Le politiche sbagliate dell’amministrazione comunale hanno prodotto una città fruibile solo da turisti mordi e fuggi piena di mangifici”

04 febbraio 2024
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FIRENZE La mercificazione della cultura, lo svuotamento del centro città delle sue principali attività, l’aver puntato tutto sul turismo senza gestire politicamente il mercato: questi secondo l’architetto Pino Brugellis, titolare dell’omonimo studio attivo in Italia e all’estero, le principali cause della criticità di Firenze. Il cui problema non è un epiteto marcato ma l’aver svenduto la propria tradizione artistica.

Architetto Brugellis, le parole della direttrice della Galleria dell’Accademia, Cecilie Hollberg, che ha definito Firenze una «meretrice» del turismo, hanno scatenato un putiferio. Lei che ne pensa?

«Si scandalizzano per le parole, sono tutti perbenisti, sia a destra che a sinistra, ma il problema esiste, e ha un’origine precisa»

Quale?

«Secondo la logica del "con la cultura si mangia", tutte le politiche, sia amministrative che industriali, sono state indirizzate in modo che il turismo potesse diventare una voce importante del Pil regionale e cittadino, senza fare uno studio critico di quale carico la città potesse sopportare e senza porre alcun tipo di freno al mercato. Ora la cosa è sfuggita di mano: i residenti del centro storico sono solo il 10% della popolazione, non sono mai state fatte politiche di contrasto del fenomeno di abbandono del centro storico, anzi, tutti i servizi, l’università, il tribunale sono stati spostati fuori. La mobilità nel centro è insufficiente, la tramvia non è stata fatta passare dal duomo per non sciupare il "salotto buono". E ancora, i permessi per le attività di accoglienza sono stati dati senza limiti: quelli che un tempo erano b&b e quindi legati alla presenza del padrone di casa ora sono Airbnb, senza più nessun residente».

Questo cosa ha prodotto?

«Il risultato è che ora la città è fruibile solo da un certo tipo di utenza turistica e come conseguenza sono nati i mangifici, i paninifici a cui si cerca di rimediare con provvedimenti ridicoli come i divieti di sedersi sul sagrato delle chiese. Sono state fatte politiche contrastanti, come la soluzione di attrarre studenti ricchi concedendo ai palazzi con destinazione d’uso ufficio di essere trasformati in residenze universitarie. Insomma, il fenomeno non è stato governato, è stato lasciato al mercato».

Dunque, mangiare con la cultura significa dannare lo spirito?

«Sono tutti contenti che gli Uffizi facciano cinque milioni di ingressi, ma vorrei sapere a quanti dei turisti che li visitano sia davvero rimasto impresso qualche dipinto. Nemmeno li guardano, sono tutti di spalle ai quadri per riprenderli nei selfie. Un paradosso. La cultura che diventa mercato, che diventa denaro, non è più utile allo spirito, ma è trasformata in merce, quindi ha perfettamente ragione la direttrice della Galleria dell’Accademia. Tutto è ormai a pagamento: un tempo per ogni intervento architettonico di una certa dimensione si doveva destinare il 20% della superficie a social housing. Ma questa quota è stata resa monetizzabile, quindi la norma è praticamente cancellata. Le università sono scelte in base al guadagno che garantiscono dopo la laurea, le Asl sono diventate "aziende": ma le parole sono importanti, cambiando i nomi abbiamo modificato la società, valutando tutto in senso economico».

Ora cosa si può fare?

«Bisogna lavorare al contrario, trovare un numero critico corretto, un turismo non classista. Ora il numero non è più tollerabile e ci lamentiamo della sporcizia, della sicurezza, che cerchiamo di risolvere con telecamere ogni cinque metri ma che non sono la risposta. Bisogna attirare nuovamente gli abitanti nel centro, magari con un bell’investimento in social housing; si sarebbero dovuti utilizzare in questo modo i fondi del Pnrr. A Vienna per esempio buona parte del patrimonio immobiliare residenziale è dello Stato, che dà casa a persone con reddito fino a 70 mila euro, case di qualità a prezzi calmierati di fronte alle quali il privato deve adeguare la propria offerta. Questo è un esempio virtuoso di come è il pubblico a guidare il privato, e non il contrario».

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