Il Tirreno

Firenze

Il lutto

È morto Sergio Staino, il vignettista più famoso d’Italia

di Mario Neri

	Sergio Staino
Sergio Staino

Firenze, dopo aver passato un anno difficile per i problemi iniziati a novembre 2022, non si era mai veramente ripreso. Il “papà” di Bobo è morto in ospedale a Torregalli: aveva 83 anni

21 ottobre 2023
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FIRENZE. Se ne è andato Sergio Staino. Il grande vignettista toscano è morto in ospedale a Torregalli. E dove deve essere entrato con una delle sue risposte secche, un po’ burbere. Come quelle che per anni ha rifilato al Pd e che riservava perfino al Pci, una delle sue punture di spillo insidiosissime che sapeva disegnare con la matita, nei fumetti di Bobo. Ché Sergio Staino era uno di lotta, non certo uno che si lasciasse irretire da un letto d’ospedale. Eppure, il vignettista più famoso d’Italia, l’architetto di Piancastagnaio trapiantato a Scandicci, 83 anni compiuti l’8 giugno scorso, ci ha lasciati oggi in ospedale a Firenze.

Staino si trovava al Dea di Torregalli per un peggioramento delle sue condizioni di salute. Dopo aver passato un anno difficile, per molti mesi ricoverato al Don Gnocchi, per i problemi iniziati a novembre 2022, non si era mai veramente ripreso. Ultimamente aveva patito le conseguenze di un ictus, era stato ricoverato e poi era riuscito a tornare a casa da Bruna, la sua amatissima moglie. Ma negli ultimi giorni c’è stata una ricaduta, dovuta a una crisi respiratoria che ha fatto di nuovo precipitare le sue già precarie condizioni.

Staino stava male da tempo, appunto. E da anni fronteggiava molti acciacchi e problemi fisici. Ma non ha mai smesso di lottare, di impugnare ogni giorno la sua matita e di dare corpo con il disegno ai suoi pensieri, alla sua intelligenza. Conosciuto come l’anima caustica della sinistra italiana e soprattutto come il vignettista de l’Unità, Staino ha in realtà pubblicato le sue opere anche su altre riviste e giornali, da Linus a La Stampa.

Una delle ultime perle l’ha regalata proprio al Tirreno. Una vignetta sulla nascita della redazione e dell’edizione fiorentina del giornale uscita per la prima volta in edicola il 18 maggio 2022.

«Che buon profumo di mare c’è oggi», dice una ragazza a Bobo leggendo un quotidiano. E lui risponde: «Dev’essere il Tirreno che apre a Firenze». Un dono e un tocco di poesia per lui abituato in fondo a “Satira e sogni”, come ha intitolato la mostra con moltissime delle sue vignette organizzata a Siena qualche anno fa in una specie di grande raccolta che assomigliava molto anche a una retrospettiva sulla sinistra italiana interpretata da Bobo, il suo personaggio ispirato all’immagine di Umberto Eco, ma in realtà suo grande alter ego. «La satira smaschera l’ipocrisia», amava dire, avvertendo però che per riuscire, per centrare l’obiettivo, anche il sardonico segno delle vignette doveva restare entro certi confini, muoversi in un contesto.

Una storia lunga nella Storia del Paese, quella di Staino. Le sue vignette scandiscono i passaggi chiave della parabola della sinistra, ma non solo. Messe insieme racconterebbero per immagini e con arguzia la vita e la morte della Prima Repubblica, il ventennio Berlusconiano, il perenne sturm und drang del partito che ha cambiato nomi e linea, ma è sempre rimasto attraversato da linee di faglia che l’hanno scosso fra divisioni interne e strapotere correntizio. Uno strapotere che Staino guardava con sospetto, perché animato da un forte senso di comunità e compattezza che il vecchio Pci, pur nelle sue sfaccettature, aveva saputo trasmettere. Alcune sono memorabili. Ce n’è una con Bobo che dice: “Negli anni ’40 l’America ci portò la libertà e il Ddt”, la bimba risponde: “La libertà le sembrava troppo poco?”. Oppure: Bobo che ricorda “Ilva, 4000 licenziamenti tra Geova e Taranto”, la bimba che avverte “Vedrai che arriverà la rivendicazione dell’Isis”. O la figlia che dice a Bobo che “basta cantare Bella ciao per essere di sinistra” e lui che risponde “Magari…”. Non è solo il riso che cerca Sergio, non la comicità, non certo quella triviale di certi colleghi o la provocazione estrema e sperimentale come quella dei funambolici polemisti di Charlie Hebdo. No, quelli di Bobo assomigliano talvolta a motti filosofici. Certe sue vignette hanno un doppio strato di lettura: il primo, più accessibile, ma che quasi mai soddisfa la ricerca di senso. Che si schiude spesso in una specie di frase alla Cavalcanti, apparentemente insignificante, conturbante sul suo fondo semantico. In questo sì, Bobo ricorda Eco.

Anche se professionalmente legato a l’Unità, Staino è un nomade. Collabora con anche con il Messaggero, nel 1986 fonda e dirige il settimanale satirico Tango, nel 1987 realizza per Rai3 il programma Teletango. Poi, sempre per la Rai, il programma Cielito Lindo, un varietà satirico condotto da Claudio Bisio e Athina Cenci. Nel 1989 dirige e sceneggia il film Cavalli si nasce, e nel 1992 Non chiamarmi Omar, sviluppato a partire da un racconto di Altan. Nel 2007 realizza Emme, "periodico di filosofia da ridere e politica da piangere", supplemento settimanale de l'Unità, continuando le sue collaborazioni anche con televisione, cinema e teatro.

Prova anche l’esperienza da direttore. Nel 2016 Matteo Renzi, premier e segretario dem, gli affida l’Unità in affiancamento ad Andrea Romano. Ci resta circa un anno, fino all’aprile 2017. Il suo rapporto con Renzi va avanti ad alti e bassi, ma sul piano di ridimensionamento del giornale, che prevede il taglio del 60% del personale, si incrina. Rassegna le dimissioni. L’ad Guido Stefanelli le respinge, ma lui le motiva adducendo la sfiducia nei suoi confronti dei colleghi. Torna direttore a maggio, ci resta di malavoglia, sconsolato, affranto per le sorti del giornale fino alla chiusura il 2 giugno nel 2017. Anche col Pd in fondo è sempre stata una storia di alti e bassi. E già da prima. Nel 2009 rischia di farsi espellere perché, pur essendo iscritto al partito, si candida alle Europee con Sinistra e Libertà, alla quale si sente più affine.

Dopo la chiusura dell’Unità, arrivano le collaborazioni per La Stampa e l’Avvenire. E in un’intervista al giornale, per cui prepara una serie di vignette intitolate “Hello Jesus”, spiega di essere affetto da anni da una malattia agli occhi, una degenerazione maculare retinica, che di fatto lo ha reso cieco. E che disegna solo grazie a un foro puntatore che deve indossare come un piccolo cannocchiale. Da anni Staino guardava il mondo così, puntando l’essenza delle cose perché intorno la macula aveva obnubilato tutto, ombre che lo costringevano a trarre nelle sue vignette la crusca dell’esistenza. E così ha fatto anche per concepire e disegnare la vignetta dedicata al Tirreno. E noi tutti del giornale gliene saremo sempre grati. Addio, Sergio.

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