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La vita di Geia e la casa di Terzani. L’abbraccio tra Asia e Firenze in un libro

di Sabrina Carollo
La vita di Geia e la casa di Terzani. L’abbraccio tra Asia e Firenze in un libro

La presentazione del libro alla Feltrinelli Red

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FIRENZE. Tiziano Terzani è dappertutto. La sua presenza è palpabile, vive in ogni dettaglio della casa accogliente dove abita ancora Angela Staude – la sua elegante e sorridente compagna di vita –, in cui il profumo di incenso himalaiano si mescola a quello del legno di faggio che brucia nel camino di pietra serena, dove le tangka buddhiste sono appese accanto a finestre da cui si scorgono i cipressi e le colline della campagna pettinata attorno a Firenze, e le statue in pietra delle divinità dell’est sono appoggiate su sedie impagliate dalla perizia degli artigiani d’Oltrarno.

Un luogo insomma dove la spiritualità orientale sposa armoniosamente l’Occidente un po’ paesano e tradizionale. Qui si respira il significato di essere a cavallo tra due mondi, di rappresentarne la sintesi: non è un caso che Geia Laconi, moglie di Folco Terzani, abbia scelto di presentare qui il suo libro, “Figlia dell’uomo tigre” (Giunti), in cui racconta la sua vita a cavallo tra due realtà differenti.

Nata da una mamma di Fiesole ribelle e curiosa e da un padre indonesiano silenzioso e mite, Geia porta negli – splendidi – tratti del viso la sua storia di crocevia di culture, tradizioni e differenze. Nella famiglia Terzani ha trovato la perfetta corrispondenza alla sua intima essenza, uno specchio in cui incontrare e abbracciare l’altra parte di sé che faticava ad accettare. Come scrive lei stessa nel libro: «A 26 sei anni ho incontrato Folco. Non avrei mai potuto trovare qualcun altro che più combaciasse con me. Opposti e complementari in tutto. Io ero nata in Asia e cresciuta a Firenze, lui era per metà fiorentino, come me, e cresciuto in Asia. Logico e sognatore lui. Irrazionale e pratica io. Ci capivamo. Avevamo una strada da compiere insieme e un destino in comune».

Un destino che li lega dai primi anni duemila e che li ha portati ad avere due bambini e una vita un po’ girovaga: l’ultimo spostamento risale a quando avevano provato a trasferirsi proprio in Indonesia, da cui sono dovuti tornare dopo pochi mesi per l’emergenza Covid. «Tiziano si è trasferito in Asia attorno ai trent’anni, la stessa età che aveva mio padre quando è venuto qui in Italia», spiega l’autrice.

«Ci sono relazioni invisibili e parallelismi che ci legano e che mi piace osservare. Quando ho incontrato Folco ho subito sentito che c’era un legame tra di noi che non sapevo spiegare, e sono finita nella famiglia del giornalista che più rappresenta l’Asia in Italia. Era come se la vita mi chiamasse a riconoscere la mia parte asiatica».

Il libro è più della narrazione di una vita sospesa tra due culture: è il racconto della ricerca della propria identità, della riscoperta delle proprie radici che, nella Firenze omogenea di quarant’anni fa, non era facile coltivare senza sentirsi tremendamente diversi: «Quello della Firenze “a modino” era un mondo a cui volevo appartenere ma da cui allo stesso tempo mi sentivo lontana. In classe ero l’unica non interamente di qui, insieme a un altro bambino metà italiano e metà africano, con cui ci evitavamo perché essendo entrambi diversi non volevamo sottolinearlo», ricorda Geia.

Nel percorso difficile di comprensione e accettazione di quelle parti di sé e della propria famiglia che meno riusciva ad accogliere, Geia racconta la parabola di tanti ragazzi, immigrati di seconda generazione, che oggi vivono cercando una sintesi tra la storia dei genitori e la propria realtà.

La sua narrazione, semplice, immediata, è la testimonianza di una vita a tratti impegnativa, e della ricerca di un percorso verso l’equilibrio: «Ho faticato molto a percepirmi come unica, sentivo la mia dualità. Ho cercato di dare un senso alla mia storia e a unire i pezzi, anche con questo libro».

È prevista una presentazione aperta al pubblico il 28 febbraio alle 18 a La Feltrinelli Red.
 

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