Il Tirreno

Rugby: Quesada, 'ho perso due volte con l'Italia, lavoro per riportare lo spirito di allora'

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Roma, 31 gen. - (Adnkronos) - "Da giocatore ho perso con l’Italia nel ‘98 e da tecnico, ero assistente della Francia, nel 2011. Queste vittorie sono state costruite su conquista e difesa. Erano squadre aggressive, ti saltavano addosso e non ti lasciavano niente. Il mio sogno è recuperare quella passione, quel cuore". Così il ct dell'Italrugby Gonzalo Quesada durante un'intervista al 'Corriere della Sera'. Quesada è un uomo di mondo. Un pezzo di vita a Buenos Aires, un altro in Francia, tanti anni a Parigi. Parla quattro lingue: a spagnolo, francese, inglese ha infatti aggiunto in fretta la nostra ("Il consiglio di Diego Dominguez: per prima cosa impara l’italiano") e gioca anche a polo. Rispetto ai due ultimi c.t. azzurri del rugby, il duro afrikaner Franco Smith e il silenzioso neozelandese Kieran Crowley la differenza è evidente. Ha una laurea in Economia e ha giocato 38 volte con la maglia dei Pumas, ruolo apertura, punti segnati 486 (solo in tre hanno fatto meglio) e ha scelto di vivere a Milano: "Come tutti gli stranieri ho pensato subito a Roma, ma per il mio lavoro Milano è più comoda. Volevo però una casa appena fuori città con un piccolo giardino, come a Parigi. L’ho trovata". Il suo contratto inizia l’1 gennaio. Lei però è venuto in Italia due mesi fa perché, ha spiegato: dovevo ascoltare e capire. "È stata una buona decisione. Ho visto che tutto è molto diverso da quello che conoscevo, in Francia soprattutto. Ma non ho cambiato la mia idea di quello che voglio fare con la squadra, solo le priorità del lavoro. Comunque ascolto ancora, imparo ancora e sono convinto di essere nel posto dove volevo essere". Ha detto: la mia squadra deve avanzare, con la palla ma anche senza. "L’avanzamento è la prima legge del rugby. Crowley ha fatto un buon lavoro e si è parlato molto dell’attacco dell’Italia. Chi attacca diverte, attira simpatia. È un punto di forza degli azzurri e io voglio svilupparlo. Però quando giochiamo contro squadre molto forti dobbiamo imparare ad attaccare anche senza palla e, soprattutto, a segnare punti ogni volta che si presenta una possibilità. Segnare contro l’Italia deve diventare meno facile". Da dove si comincia? "Costruendo una strategia di gioco, strutture di uscita dalla nostra metà campo. Dobbiamo essere solidi in conquista nei nostri 50 metri per tutti gli 80 minuti della partita. Quando raggiungeremo questo potremo giocare la palla con maggiore efficacia". Vista la Coppa del Mondo, si può dire che le regole oggi favoriscano la difesa? "Penso che prima o poi qualcosa cambierà -continua Quesada-. Le statistiche della Coppa del Mondo dicono che le squadre che hanno calciato di più, e hanno conquistato più metri al piede, sono le prime 5. Nessun appassionato credo voglia vedere questo rugby. Prendere pochi rischi non è il miglior business. Oggi però conviene". Quindi l’Italia cambierà pelle? "Stiamo lavorando su un nuovo sistema d’attacco. Poco alla volta però: andare sabato contro l’Inghiterra con troppe novità sarebbe una catastrofe". Altro punto dolente, il breakdown, la battaglia di terra: l’Italia in questa fase non sempre è efficace. "Il breakdown è un’area del gioco complessa. Finito il Mondiale, Joël Jutge, il capo degli arbitri, ha mandato a diversi allenatori una mail divisa in 5 punti per avere un parere. Al primo posto c’era il breakdown. Gli arbitri faticano a controllarne tutti gli aspetti e per come viene interpretato il vantaggio oggi va alla difesa. Il compito di noi allenatori è cercare di vincere e passiamo le giornate a capire cosa fare per riuscirci. Mi piace Guardiola, avere possesso, attaccare. Mi piace Guardiola, ma mi piace anche il calcio di Simeone, uno che vuole competere. L’Italia non può però essere l’Atletico Madrid, non ha i muscoli dell’Inghilterra. La nostra forza deve essere la velocità e il gruppo". Argentina e Italia hanno legami profondi, nel rugby e non solo. Non è paradossale che lei sia il primo argentino scelto per allenare la Nazionale italiana? "Speravo in questa occasione, la aspettavo dopo i tanti anni con i club in Francia, l’esperienza nel Superugby, quelle di assistente con Francia e Argentina. Ma non mi sono posto la domanda: perché io? Sono solo contento di essere stato scelto". Per arrivare dove? "Portare la Nazionale al suo massimo potenziale. Se con quello potremo vincere di più, vinceremo di più. Ho studiato e ascoltato e sono più convinto di prima che nel gruppo azzurro ci sono giocatori ambiziosi e di qualità, una squadra nella quale tutti hanno un unico modo di sentire». Quante volte al giorno pensa all’Inghilterra che affronterà sabato a Roma nella prima partita del Sei Nazioni? "Tante. E quando non penso all’Inghilterra penso all’Irlanda, alla Scozia, al tour di luglio, ai test di novembre...".
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