Milano: gip, 'affiliato 'ndrangheta può compiere reati comuni per propri interessi'
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Milano, 27 ott. (Adnkronos) - "Non vi è prova che l'attività di Aquilano fosse autorizzata, controllata o sollecitata a distanza dalla Calabria, anzi risulta essenzialmente una sua iniziativa". E' uno dei passaggi delle motivazioni, di oltre 330 pagine, con cui il giudice di Milano Guido Salvini ha condannato, lo scorso settembre, 21 persone a condanne fino a 12 anni di carcere per traffico di droga ed estorsioni aggravate dal metodo mafioso, ma ha bocciato l'esistenza di un'associazione mafiosa controllata da Luigi Aquilano, genero del boss calabrese Antonio Mancuso. Nell'inchiesta della pm Alessandra Cerreti emergono contatti dovuti ai vincoli spesso di stretta parentela, ma per il gip "non si evincerebbe alcuna 'alleanza' o 'collegamento' giuridicamente rilevante con la cosca Mancuso". Per il giudice "è estremamente probabile, pressoché certo, che Luigi Aquilano e altri soggetti che compaiono nel processo, siano stati, quando vivevano in Calabria, affiliati alla 'ndrangheta con le modalità previste da tale associazione criminale. Ma ciò non significa appunto che anche un 'affiliato' in Calabria, soprattutto in un territorio vasto e pieno di 'occasioni' illecite come Milano non possa commettere reati 'generici'" e farlo "autonomamente e per un diretto interesse personale. Affermare il contrario significherebbe incasellare a forza in uno schema qualsiasi anche autonoma attività criminosa, che rappresenta del resto uno stile di vita di molti soggetti". Tra gli indagati "non sarebbe ravvisabile la costituzione e operatività di una organizzazione stabile allo scopo di realizzare un programma criminoso comune e protratto nel tempo, con una ripartizione di compiti tra gli associati", insomma commettono reati ma privi di intento collettivo. I segnali che Luigi Aquilano si muovesse "autonomamente sono molteplici e il significato delle conversazioni presenti nelle indagini non può essere, come sembra accadere nella richiesta di Riesame, ribaltato. Questo completo disinteresse per le attività anche commerciali di Luigi Aquilano, una attività che avrebbe dovuto, in una logica mafiosa, suscitare interesse se non altro per la posizione strategica in cui il bar si trovava, proprio dinanzi all'ingresso del Palazzo di giustizia, certo è tutt’altro che indicativa di un controllo a distanza di quanto avveniva a Milano da parte della famiglia di Limbadi" conclude il giudice Salvini.