Politica
Niente vedute dirette sul fondo confinante senza distanza di 1, 5 metri
Cosa dispone il codice civile: i consigli dell'avvocato Biagio Depresbìteris
Gentile redazione, vi scrivo per capire meglio un fatto avvenuto nel mio condominio. Io sono proprietaria di un immobile con cortile confinante con quello del mio vicino, diviso da un muro. Il mese scorso il mio vicino ha deciso, senza il mio consenso, di aprire due finestre sul mio cortile. Dice che è solo per avere la luce diretta del sole al mattino, ma lo vedo affacciarsi spesso sulla mia proprietà. Cosa che mi mette a disagio anche perché la finestra si affaccia sulla mia camera da letto. Non ci sono delle distanze legali da rispettare? Posso imporgli di chiudere quelle finestre?
Anna da Pisa
In tema di vicinato è sempre opportuno adottare alcune accortezze. In particolare, la violazione delle parti in comune, rappresentata dall’apertura di una parte dell’edificio in sfavore dell’immobile confinante, è governata dal codice civile. L’articolo 900 c.c. individua una distinzione tra “luci e vedute” che è necessaria al fine di gestire i diritti contrapposti fra i confinanti. In particolare, le finestre o le altre aperture sul fondo del vicino possono essere classificate come luci, quando le aperture sul fondo del vicino sono in grado di dare passaggio solo alla luce senza consentire l’affaccio nella proprietà limitrofa. A differenza delle luci, le vedute permettono l’affaccio o meglio la facoltà di poter sporgere il capo all’interno del terreno confinante. Per tutelare la riservatezza e la libertà di ciascuno nei rapporti di vicinato, il nostro ordinamento prescrive una distanza legale minima tra le vedute e il fondo limitrofo. In particolare, l’articolo 905 c.c. rubricato “Distanza per l’apertura di vedute dirette e balconi” dispone che: “Non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo. Non si possono parimenti costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere. Il divieto cessa allorquando tra i due fondi vicini vi è una via pubblica”. La distanza menzionata nella norma predetta, quindi, è quella che per legge deve necessariamente intercorrere tra il confine del fondo e la parte del muro esterno in cui si aprono le vedute. Chiaramente, le parti di comune accordo possono anche aprire delle luci irregolari, ma in questo caso non farebbero altro che costituire una servitù di passaggio fra i fondi. Un'altra norma da tenere in considerazione nel caso di specie è quella che regola l’uso comune della cosa all’interno di un condominio. L’articolo 1102 c.c., a tal proposito, dispone che: “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso”. Dunque, la norma chiarisce la sussistenza di due limiti fondamentali all’uso della cosa in comune. In primo luogo, nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e, in secondo luogo, nel divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti d’uso. Quindi, anche secondo quest’altra legge, il vicino non può modificare il bene comune senza prima acquistare un diritto reale di godimento, più precisamente, nel caso di specie, una servitù di veduta. Concludendo, il proprietario che vedesse leso il suo diritto di proprietà dalla molestia altrui e lo volesse proteggere dovrebbe avviare la cosiddetta azione negatoria, disciplinata dall’articolo 949 c.c., che così dispone: “Il proprietario può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio. Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno“.
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