Caos sul bus in Toscana, punta il coltello contro l’autista: «Salvo per pochi secondi, ma adesso ho paura»
Il racconto del dipendente di Autolinee: «Altro che aggressione, è stato un tentato omicidio»
FUCECCHIO. «Altro che aggressione, è stato un tentato omicidio». Prima gli insulti, poi le minacce. Infine, la lama di un coltello a pochi millimetri dalla pancia. Mario (il nome è di fantasia) riavvolge le pagine di un racconto del terrore che lo ha visto vittima di un’aggressione, sventata solo dall’intervento di un carabiniere fuori servizio, mentre come tutti i giorni guidava un autobus del servizio di trasporto pubblico. Ascoltandolo sembra di rivivere quanto successo lunedì 4 novembre al controllore del treno regionale Genova-Bussola.
La vicenda
Adesso riavvolgiamo il nastro: è agosto. La città è deserta, l’autobus anche. Il servizio pubblico, però, non si ferma. La corsa della linea 250 Pontedera-Fucecchio arriva al capolinea in piazza XX Settembre. Occorre una manovra e qualche minuto di sosta prima della ripartenza verso la città della Vespa.
«Dopo lo stop alla fermata, stavo guidando l’autobus al piazzale di sosta. Si è avvicinato un ragazzo, che voleva salire, l’ho invitato ad avere qualche minuto di pazienza e a raggiungere il terminal a pochi metri di distanza», racconta il conducente di Autolinee Toscane, 50enne della provincia di Pisa e oltre due decenni di esperienza alla guida dei bus. «A quel punto sono iniziate le minacce, gli insulti, poi è salito sull’autobus in sosta con il coltello in mano», racconta l’autista. Provvidenziale l’intervento di un carabiniere fuori servizio, seduto all’esterno di un bar nei pressi del capolinea. «È salito sul bus proprio mentre stava affondando la lama nella pancia riuscendo a bloccarlo. Mi ha salvato la vita», aggiunge il cinquantenne. «Senza di lui, probabilmente, non potrei raccontare questa brutta storia – prosegue – che, purtroppo, non riesco a cancellare dalla mente».
Come ha influito quell’episodio sul suo lavoro e nella sua vita?
«Ha influito tanto. Non mi sarei mai immaginato di trovarmi di fronte ad una persona che mi minaccia con un coltello solo perché mi sono attenuto alle regole, anche di sicurezza, del mio lavoro. Da quel giorno è cambiato tanto, spesso ho paura».
Ha mai pensato di abbandonare questo lavoro?
«Dopo quell’episodio, qualche volta succede. Non è accettabile subire aggressioni, fisiche e verbali, a fronte di tutto quello che dobbiamo sostenere per lavorare».
Cosa dovete sostenere?
«Non basta avere una patente e saper guidare. Dobbiamo avere una vita “equilibrata”, sonno regolare, siamo sottoposti a test e analisi a sorpresa. Non è accettabile, anche a fronte di tanti sacrifici, essere insultato o picchiato sul posto di lavoro».
Insulti, minacce e aggressioni fisiche: un’escalation di violenza che sembra ormai inarrestabile.
«Tutti i giorni siamo sottoposti ad insulti e minacce. È la prima volta che mi capita un’aggressione fisica, ma quotidianamente siamo una sorta di bersaglio e questo non è più tollerabile».
Perché questo aumento, che sembra ormai incontrollabile, degli episodi di violenza?
«È una deriva culturale. Prima c’era più rispetto. E questo avviene soprattutto tra i più giovani. Forse si sentono impuniti, ma probabilmente tra le nuove generazioni la vita ha perso anche un po’ di valore. Si uccide per motivi banali, si insulta, si minaccia e si manca di rispetto, agendo soprattutto in gruppo».
Scioperi per rivendicare maggiore sicurezza e richieste da parte dei sindacati di mettere su strada autobus con cabine di guida totalmente chiuse al momento sono rimaste senza o con poche risposte. C’è un allarme sicurezza inascoltato?
«Bisogna essere anche realisti: non si può pretendere da un giorno all’altro di cambiare la flotta di autobus ed avere tutti i mezzi con le cabine chiuse. Occorre altro».
Cosa?
«Rispetto».
È possibile qualche forma di controllo dell’utenza da parte dei conducenti?
«Chi guida un autobus, soprattutto extraurbano, ha la responsabilità di decine e decine di persone. Deve avere gli occhi puntati sulla strada e non può permettersi distrazioni. Quello che succede a bordo è difficilmente controllabile. E su questo ha influito anche il Covid».
Perché?
«Perché in qualche modo sono rimaste le regole post-pandemia: sull’autobus, ad esempio, si sale dalla porta posteriore. E questo ha tolto quella sorta di filtro che c’era prima. L’autista osservava chi entrava dalla porta anteriore, magari c’era anche uno scambio verbale con il quale autista e utente creavano una “connessione”. Ora sono praticamente tutti estranei e l’estraneo si sente libero di fare quello che gli pare».
Domani (8 novembre, ndr) sciopera?
«Sì, anche e soprattutto per rivendicare più sicurezza».
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