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Legge sull’autonomia, così il paese diventa Arlecchino

di Emanuele Rossi
Legge sull’autonomia, così il paese diventa Arlecchino

Non si tratta infatti di una legge di revisione, bensì di attuazione della Costituzione

23 giugno 2024
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Emanuele Rossi è professore ordinario di Diritto Costituzionale alla Scuola Sant’Anna di Pisa


Il disegno di legge sull’autonomia differenziata, approvato in via definitiva dal Senato, costituisce la tappa intermedia di un processo normativo che ha il suo fondamento nella Costituzione e si concluderà (se si concluderà) con l’approvazione di tante leggi quante saranno le Regioni che chiederanno più autonomia. Non si tratta infatti di una legge di revisione, bensì di attuazione della Costituzione. E in particolare di un comma che fu inserito nella riforma approvata nel 2001 dall’allora maggioranza di centrosinistra e confermata con referendum, con l’opposizione di tutto il centrodestra. E questo dovrebbe far capire perché è sbagliato modificare la Costituzione “contro” qualcuno: spesso le parti si invertono, e chi intende fare uno sgambetto può finire per rimanere sgambettato. Se dunque sopra questa legge sta la Costituzione, dopo di essa si aprirà un’altra fase, in cui ogni Regione che lo vorrà si siederà al tavolo con il governo per chiedere maggiori competenze: la legge che ora il Parlamento ha approvato – merita ricordarlo – non attribuisce infatti nessuna ulteriore competenza alle Regioni.

La legge appena approvata indica i criteri e le procedure mediante cui consentire alle Regioni che lo richiedano di acquisire, con l’approvazione dello Stato, ulteriori competenze. Detto tutto questo, va osservato che il centrodestra attuale, che ha voluto fortemente questa approvazione, ci ha messo (abbondantemente) del suo. Perché se la disposizione costituzionale poteva essere interpretata in tanti modi, quello scelto dal governo ha espanso la sua portata, consentendo ad ogni Regione che lo vorrà di vedersi attribuite fino a un massimo di 23 materie (ulteriori rispetto a quelle che già ha): tra queste – per ricordarne alcune – la tutela della salute, l’istruzione, la tutela dell’ambiente, la tutela e sicurezza del lavoro (oltre a porti e aeroporti, grandi reti di trasporto, produzione e distribuzione dell’energia, ordinamento sportivo ed altre ancora). Con la conseguenza, dunque, di una possibile futura situazione in cui l’Italia non sarà colorata di due colori (quello delle cinque regioni a statuto speciale e quello delle altre “ordinarie”), ma di tanti colori quanti saranno le Regioni.

Da un abito spezzato a un vestito di Arlecchino. Per impedire che questa futura situazione possa comportare situazioni di diseguaglianza estrema, la legge prevede che, prima di trasferire le materie alle Regioni, lo Stato dovrà definire i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (non in tutte le materie, in verità, ma tra molte di quelle trasferibili). Una volta individuati questi, si dovrà stabilire il loro costo (“costi e fabbisogni standard”), e si dovranno anche mettere a disposizione di tutte le Regioni i fondi necessari a garantirli: e ciò al fine di “scongiurare disparità di trattamento tra Regioni”. Perché dunque una Regione, considerato che gli stanziamenti per tali livelli saranno uguali per tutte, dovrebbe avere interesse ad avere più competenze? In primo luogo perché avrà la disponibilità di gestire in autonomia quelle risorse e di definire come garantire le prestazioni; in secondo luogo perché le Regioni che avranno altri fondi potranno garantire altre prestazioni, che chi non avrà ulteriori fondi non potrà fare.

E infatti va ricordato che l’altro tassello che ancora manca è l'attuazione del federalismo fiscale, che secondo il Pnrr dovrà essere realizzato nel primo trimestre del 2026. A quel punto, con la possibilità di ogni Regione di avere risorse proprie, quelle che hanno un tessuto economico più ricco avranno più fondi, che potranno utilizzare per garantire maggiori prestazioni ai propri cittadini.

Se questa è la situazione che si prospetta, come valutare l’obiettivo che la legge si attribuisce di “rimuovere discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio”? A me, non so perché, è venuto in mente Totò: “Ma mi faccia il piacere…”!

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