Forte dei Marmi, il sindaco-chirurgo Marzi in Eritrea per curare il cuore dei bambini. Ecco come donare per dare una mano
Bruno Murzi, primo cittadino di Forte dei Marmi, e la sua missione. «Per loro fai tutti questi sforzi: ho scelto il mestiere più bello del mondo»
FORTE DEI MARMI. Si dice che una missione umanitaria sia un’esperienza che cambia la vita. Non solo di chi decide di viverla, portando una luce di speranza negli angoli più poveri del mondo. Ma anche di chi riceve le cure, un dono e una speranza di vita, grazie alla professionalità di abili medici e operatori sanitari. L’associazione “Un Cuore, un Mondo”, attiva da trent’anni, sta portando avanti in Eritrea diversi progetti per la prevenzione e la cura delle malattie. Fa parte del team dei medici anche il sindaco di Forte dei Marmi, Bruno Murzi, un “grande” della chirurgia cardiopediatrica. Difficile tenere il conto delle migliaia di bambini che ha operato nei 40 anni in cui è stato in servizio all’Opa di Massa (primario della cardiochirurgia pediatrica). «Sono ancora capace di muovere le mani e la testa» aveva dichiarato il giorno in cui è andato in pensione Murzi, circa 4 anni fa. Da allora il primo cittadino di Forte dei Marmi, non ha rinunciato al suo ruolo di “mago del cuore dei bimbi”. Insieme a lui altri medici, chirurghi, anestesisti e infermieri e ora anche il figlio Michele: di missione in missione non rinunciano ad aiutare i bambini meno fortunati. Un team, una squadra affiatata.
Dall’inizio del mese sono in Eritrea. E torneranno proprio oggi. Seguire il diario quotidiano di Murzi in questi giorni è un’emozione. «Alla fine è solo per loro che fai tutti questi sforzi – scrive pubblicando le foto di alcuni bambini che hanno bisogno di cure – ti accorgi che ancora ti commuovi per un sorriso di un bambino, per una mamma che ti bacia la mano, per un papà che si inchina al tuo passaggio. Ho scelto il mestiere più bello del mondo». Sì un bellissimo mestiere, quello di continuare a fare vivere piccoli cuori.
Abbiamo chiesto a Murzi di raccontarci come è andata avanti questa missione in un Paese sempre più povero. «Siamo partiti il 4 ottobre con un volo per Istanbul e poi per Asmara. L’arrivo in piena notte: ciò che colpisce è il cielo. Stellato come non mai, poi ti accorgi che attorno a te è un buio pesto (no corrente, no luci...) e allora capisci che sei arrivato. Il giorno dopo abbiamo preparato l’ospedale, un vecchio padiglione costruito dai militari italiani verso gli anni ’20 e ristrutturato da Archmed, una fondazione tedesca il cui scopo è quello di portare chirurgia per bambini in zone di guerra e con cui cooperiamo».
Le giornate sono lunghe, anche otto ore di continuo in sala operatoria. «Abbiamo iniziato ad operare il giorno dopo e abbiamo fatto tre operazioni, il più grande ha due anni. La nostra cardiologa, Nadia Assanta assieme a Antonio Alberio, altro cardiologo, hanno iniziato a visitare i piccoli per le operazioni e ci siamo subito accorti che questa volta sarebbe stata dura perché sono arrivate decine e decine di famiglie con bambini cardiopatici. Tre anni di Covid, con l’assenza di tutti i gruppi chirurgici, hanno fatto sì che molti siano i bambini da operare. Molti non sono più operabili e altri, troppi, in questo tempo sono deceduti senza cure». La forza di questo gruppo di professionisti della Fondazione Monasterio e di altri ospedali italiani è anche questa: non spaventarsi di fronte alle difficoltà logistiche. «Per questo motivo abbiamo deciso di operare tre casi ogni giorno (di solito ne operiamo due) e quindi le nostre giornate trascorrono in sala operatoria, dalle 7 alle 19. Poi cena in albergo, una birra e a letto. L’albergo si chiama “Alla Scala” e assieme al cinema “Roma e impero” sono simboli dell’italianità di questo posto. Ieri sera la cuoca ci ha fatto le melanzane alla parmigiana per farci sentire a casa».
Dell’équipe fanno parte quattro chirurghi, cinque anestesisti, due cardiologi, nove infermieri di terapia intensiva, due ferriste e due tecnici di sala operatoria. C’è anche il presidente di “Un Cuore un Mondo”, l’associazione che organizza la logistica, Mario Locatelli. «Compito di Mario è quello di farci mangiare e dormire, oltre a trovare i fondi. In ospedale, c’è il nostro personale che si prende cura dei bambini (notti comprese). Quando torneremo indietro, porteremo con noi i sorrisi di questi bambini».
Sono sempre loro i più vulnerabili. Come Mehal, 3 anni, cieca dalla nascita per una cataratta congenita. «Nessuno l'operava per la cataratta perché aveva una cardiopatia congenita. Entrava nella lista di attesa e poi immancabilmente veniva messa fuori. Questi bambini vanno operati presto perché altrimenti corrono il rischio di rimanere ciechi per motivi neurologici. La madre ha saputo di noi e ha portato la bambina in ospedale. I nostri cardiologi l'hanno vista e ce l'hanno subito presentata. Abbiamo chiamato l'oculista locale e abbiamo fatto un accordo: bimba operata al cuore e agli occhi: ora ci vede».
Le notizie dal mondo arrivano in maniera rarefatta: «Due giorni fa hanno installato il wi-fi, d’altronde comunicare a casa è necessario. Abbiamo sentito di ciò che accade in Israele e a Gaza. Siamo tutti addolorati e preoccupati per gli amici che abbiamo là». Quella di “Un Cuore, un Mondo” è una grande famiglia. «Nella nostra équipe ci sono persone di vari ospedali. Una decina della Fondazione Monasterio (Opa), io sono tra i responsabili chirurghi cardiologi con la dottoressa Nadia Assanta e l’anestesista, Paolo Del Sarto. Altro personale viene dall’ospedale Monaldi di Napoli, dal Noa di Massa, dal Gaslini, dal Brotzu di Cagliari. Insomma c’è di tutto e soprattutto mezza Italia. Qui veramente li aiutiamo a casa loro, la nostra presenza è importante. Quando siamo arrivati ci siamo dati come obiettivo quello di operare 20-22 bambini. Lo so, è una goccia in questo mare di povertà e dolore. Solo noi sappiamo l’angoscia dei colleghi cardiologi quando trovano casi non più operabili, una drammatica condanna a morte, quelli che rimangono indietro non li troveremo la prossima volta. È molto difficile da accettare».
Anche per questo, ancora una volta, l’equipe e l’associazione “Un Cuore, un Mondo” di Massa, rivolgono un appello a donare. IT59J 05387 13602 0000 0379 2935 BPER Massa Centro. Questo è l’Iban della Associazione un Cuore Un Mondo causale: Missioni Eritrea.
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