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IL LEONE È SEMPRE RE Batigol, record da 30 anni

Gabriel Omar Batistuta
Gabriel Omar Batistuta

Nella stagione ’94/95 segnò con la Viola in undici giornate di fila. Lo ha eguagliato solo Quagliarella. Baiano: «Haaland come lui»

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Ha volato nelle aree piccole come una farfalla, ma ha punto come un’ape. Di quelle capaci di iniettarti il veleno e lasciarti senza fiato. È così che, un gol dietro l’altro, Gabriel Omar Batistuta, ha macinato gol e stabilito record, dalla Nazionale albiceleste (di cui è il secondo marcatore di sempre, sorpassato soltanto da Leo Messi grazie all’ultimo Mondiale, quello vinto in Qatar) cominciando dalla Fiorentina. Trent’anni fa, il 27 novembre 1994, con i viola al primo anno di Serie A dopo la retrocessione e la risalita a mani basse, conquistando primo posto e promozione, Bati segnò per l’undicesima volta di fila in campionato. Aveva già fatto intravedere le sue qualità fin dal suo arrivo, nell’estate del 1991, mettendo insieme, prima dell’inizio di quella stagione 29 reti in A e 16 in B.

Cecchino d’area

Le stimmate del campione, però, si manifestarono in tutta la loro magnificenza quell’anno. Castigò il Cagliari, alla prima giornata, quindi il Genoa, la Cremonese (prima doppietta), l’Inter (malgrado il ko finale), la Lazio, la Reggiana, il Padova, il Brescia, il Bari, il Napoli (seconda doppietta) e pure la Samp: si fermò con la Juve, quando riuscì a servire l’assist ad Angelo Carbone, di testa, per il momentaneo 0-2 viola, ribaltato poi dal 73’ all’87’ dai bianconeri, trascinati da Vialli e Del Piero. Tredici gol in 11 giornate sono rimasti a lungo un record solitario: solo Quagliarella è riuscito ad eguagliare il numero di partite consecutive in cui è andato a segno - 11 appunto, con 14 reti realizzate -, ma nessun altro ha saputo andare oltre. Tocca a Kean, che intanto ha toccato quota 4 marcature una dietro l’altra, provare a scalare la china nel tentativo di avvicinarsi al gotha del pallone. Francesco Baiano, ex attaccante della Fiorentina che con Batistuta ha condiviso lo spogliatoio, nonostante l’incedere del tempo, quegli attimi di euforia e adrenalina dopo ogni gol non li ha dimenticati. In panchina c’era Ranieri, un tecnico capace di tirare fuori il meglio da chiunque, ma il paracadute perfetto era sempre e solo lui, “Re leone”.

La miccia

«Venivamo dal campionato vinto in Serie B a mani basse – ricorda Baiano – che, in qualche modo, aveva messo in un angolo l’amarezza per la retrocessione in cui era incappata la squadra. Fin dall’inizio si creò grande entusiasmo, avevamo tutti voglia di dimostrare che lo scivolone era stato archiviato. Lo spogliatoio era la forza, Gabriel invece era la miccia: in un attimo si accendeva».

«Era un fuoriclasse assoluto – prosegue Baiano – uno dei primi cinque attaccanti più forti del mondo, quasi inarrivabile da chiunque. A lui bastava segnare, non è un caso che sia ancora oggi il miglior marcatore della Fiorentina. Ha realizzato reti bellissime, ma anche diverse assolutamente normali: alla fine, contano i numeri e la sua fame lo ha portato lontanissimo».

In quelle prime 11 giornate della stagione 1994/95 - terminata poi al decimo posto in A e ai quarti di finale di Coppa Italia - «giocavamo tutti per lui. Noi sapevamo quanto il suo potenziale potesse essere decisivo per tutti noi: quando il pallone arrivava a lui e scaricava verso la rete, la sua era una sentenza. Per vincere uno scudetto, però, dovette andarsene alla Roma: fosse stato per lui, non avrebbe mai lasciato Firenze e la Fiorentina, ma non poté fare diversamente. La Coppa Italia e la Supercoppa italiana che sollevò l’anno dopo non gli bastavano».

Nessun paragone

Adesso, ad alimentare i sogni di Champions, in viola, c’è Moise Kean, ma niente paragoni: «L’unico – prosegue Baiano – che può avvicinarsi a Batistuta è Haaland. Campioni come lui non si fabbricano: ci sono le doti, questo è l’assunto di base, ma poi su queste devi lavorare. Quello che conta, adesso, è che la Fiorentina, che dopo la cessione di Vlahovic non aveva più trovato un terminale offensivo in grado di fare la differenza, può aiutarlo a crescere. È un classe 2000 ed ha debuttato in A a poco più di 16 anni e mezzo, con Allegri. Max non è un visionario, ci aveva visto subito del talento, ma questo non basta per diventare un grande e fare la differenza».

Poi aggiunge: «Le parole di Sinner, secondo me, devono diventare un mantra per tutti. I giovani devono essere affamati di successo e avere voglia di lavorare: i social non rappresentano la vetrina che conta, l’unica risposta inappellabile è quella del campo. Batistuta, per esempio, in quegli anni, non parlava quasi mai: era il nostro capitano, parlava poche volte, anche con la società, ma quando lo faceva... entrava a piedi uniti. Lasciava il segno sempre, nel risultato e con l’atteggiamento. È uno di quei compagni che non puoi dimenticare: è la storia del pallone, a Firenze e in Argentina». Anche trent’anni dopo quel record di gol macinati uno dietro l’altro in 11 gare consecutive che, oggi, nessuno è riuscito a superare.
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