Lacrime e rabbia per l’addio a tre vittime dell’esplosione di Calenzano: «E ora che sia fatta giustizia»
A Prato e Bientina l’ultimo saluto a Vincenzo Martinelli, Carmelo Corso e Davide Baronti
PRATO. La sua foto. La racchetta, le palline e la maglietta con cui giocava ogni domenica a tennis. A volte anche per tre ore filate. E poi fiori bianchi. È l’immagine della bara di Davide Baronti, 49 anni, autotrasportatore di carburanti, morto nell’esplosione al deposito di Calenzano. Oggi il funerale nella chiesa di Bientina (Pisa) – paese dove viveva con la moglie Rosanna Graziano e i due figli – e che gli ha regalato un addio commosso alla presenza di tanti colleghi che non hanno nascosto la rabbia e le lacrime. Un saluto composto, malgrado le circostanze in cui è maturata la tragedia che, al momento, resta senza un perché. «Non si può partire la mattina e non tornare a casa – ha detto il sindaco Dario Carmassi – Davide dovrà ricordarci questo. Questa lotta infinita dobbiamo vincerla. Dobbiamo smettere di piangere morti sul lavoro».
«Ciao papà, ciao al nostro supereroe». Sono le parole con cui si chiude la lettera che le figlie di Vincenzo Martinelli, 51 anni, anche lui morto nel deposito di Calenzano, hanno voluto far leggere durante il funerale del padre, nel Duomo di Prato. La cerimonia in forma privata era cominciata con le parole del vicario generale, don Daniele Scaccini, che, rivolgendosi ai familiari e ai tanti amici e conoscenti che riempivano la cattedrale, ha detto: «Personalmente mi unisco al vostro dolore in punta di piedi, con la consapevolezza che ogni parola, alle tante che sono state dette e scritte in questi giorni, certamente non attenuano il dolore e i tanti interrogativi che di fronte alla morte improvvisa e per certi versi inaccettabile di Vincenzo e delle altre vittime via ha raggiunto e toccato così duramente la settimana scorsa».
«Meritavi di vederci crescere e raggiungere i nostri obbiettivi – comincia invece la lettera delle figlie – Ringraziamo solo che il primo dicembre siamo venute da te a pranzo, l’ultimo pranzo insieme, dove ti abbiamo detto che a Natale saremmo state con te. Il Natale che non passeremo mai più insieme».
Chiede giustizia la comunità di San Giorgio a Colonica, sempre a Prato, dove si è celebrato il funerale di Carmelo Corso, 57 anni.
E a farlo per primo è il parroco don Andrea Adamek, quando nell’omelia ricorda che pur essendo uomo di ponti e non di divisioni «non posso rinunciare assolutamente a chiedere giustizia per Carmelo e per tutti gli altri lavoratori morti nell’esplosione del 9 dicembre. Sia fatta giustizia e paghi chi deve pagare. La morte di Carmelo non sia anche quella dei suoi familiari; riscoprite l’amore, la fede, la vita».
È l’ultimo viaggio quello di Carmelo circondato da centinaia di persone che alla fine della cerimonia sfilano una ad una ad abbracciare Tamara, la moglie distrutta dal dolore, e i due giovani figli.