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Crisi del Maggio e del Pecci, l’esperto avvisa: «Diciamocelo, non funziona il sistema»

di Nicola Bellini*
Crisi del Maggio e del Pecci, l’esperto avvisa: «Diciamocelo, non funziona il sistema»

A Firenze tuona l’overtourism e a Prato e al Maggio non si staccano biglietti

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Nella Toscana, luogo della cultura celebrato come nessun altro, in pochi mesi si assiste al quasi fallimento di uno dei più importanti teatri d’opera del mondo, il Maggio Fiorentino, ed alla crisi (con tanto di licenziamenti in tronco) di uno dei più prestigiosi musei di arte contemporanea in Italia, il Pecci di Prato. Una coincidenza? Cattiva gestione? Aumento dei costi dell’energia? O un’altra prova che “con la cultura non si mangia”, anzi che bisogna accettare che alla fine qualcun altro (pubblico o privato) saldi il conto?

Alle narrazioni dominanti (e, tutto sommato, di comodo perché scaricano le colpe su altri) può forse essere utile, almeno nel caso toscano, aggiungere qualche considerazione diversa. In entrambi i casi infatti colpisce il difficile rapporto col mercato. A Firenze si tuona contro l’overtourism, ma, se le cifre di stampa sono vere, solo quaranta individui al giorno si prendono la briga di arrivare a Prato (20 minuti di treno) a visitare le mostre del Pecci. E solo un decimo di essi paga il biglietto intero, mentre poco meno della metà entra gratis.

Quanto al Maggio, era lo stesso Governatore Giani a sottolineare che la lirica interessa solo al 4% dei fiorentini, legittimando così le più strampalate ipotesi di “apertura” del teatro a spettacoli e pubblici diversi. Ma se invece pensassimo operativamente al 4% dei turisti?

Intanto, all’ombra della Cupola del Brunelleschi, si staccano biglietti per sarcofagi di plastica e faraoni virtuali, ma quanti di quei visitatori, così lodevolmente affascinati dal mondo antico, percorreranno i 550 metri (sette minuti a piedi) che li separano dal Museo Archeologico Nazionale?

Qualcosa evidentemente non funziona non solo nelle gestioni individuali dei singoli enti, ma anche e soprattutto nel sistema, dove ci si muove in ordine sparso, con iniziative tanto pregevoli quanto estemporanee e scollegate le une dalle altre. Molto si potrebbe fare in termini di promozione turistica ed anche con strumenti elementari quali i biglietti unici.

Ma molto più si otterrebbe con un’offerta culturale che mettesse in squadra grandi e piccoli musei, musei e teatri, mostre virtuali e mostre reali attorno a progetti comuni di ampio respiro e reale diffusione sul territorio. La non-politica culturale della città di Firenze e dei suoi vicini ovviamente punisce poi soprattutto chi sta al margine del grande ghetto turistico: un teatro decentrato, davanti al quale è improbabile che un turista abbia a passare; un museo nella periferia di una città industriale, che nessun turista a Firenze è invitato a visitare. C’è da sorprendersi.

*Nicola Bellini è professore ordinario di management del turismo alla Scuola Sant’Anna di Pisa

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