Il Tirreno

Pisa

Il lavoro difficile

Amazon, i driver “licenziati” e beffati: «A casa con una telefonata». Le storie dei lavoratori toscani

di Francesco Paletti
Un furgone per le consegne di Amazon
Un furgone per le consegne di Amazon

Contratti non rinnovati nell’indotto della multinazionale. I racconti: «Era la vigilia di Natale e stavo guidando, solo per quello forse non ho scaraventato il cellulare...»

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PISA. «Mi dispiace tantissimo, ma il suo contratto, che scade il 31 dicembre, è l’ultimo: non ce ne saranno altri». Può succedere anche questo in una vigilia di Natale qualsiasi all'ombra e ai piedi di Amazon, il gigante dell’e-commerce, che a Montacchiello, nel comune di Pisa, ha una delle due basi logistiche della Toscana: per intendersi il luogo dove ogni mattina vengono caricati i furgoni che poi i driver consegneranno nelle case di tantissimi pisani e toscani.

Di cosa parliamo

Beninteso, non è di un dipendente della multinazionale la voce sinceramente addolorata che parla dall'altra parte: semmai è di un lavoratore di una delle tre aziende che assicurano ad Amazon il servizio di consegna su buona parte della Toscana costiera. Lo ha chiarito lo stesso colosso statunitense replicando a un comunicato delle Federazione italiana lavoratori trasporti della Cgil di Pisa: «Tutti i corrieri sono assunti direttamente dai fornitori di servizi di consegna, al livello G1 del Contratto collettivo nazionale Trasporti e Logistica» ha scritto.

Il racconto

Cambia poco nella sostanza: mentre quella voce parla dall'altro lato del telefono, il labbro superiore comincia a tremare, il groppo stringe la gola che quasi non si riesce a proferir parola. Poi le lacrime cominciano a rigare il viso: «Era la vigilia di Natale e stavo guidando, solo per quello forse non ho scaraventato il telefono il più lontano possibile, ma l'avrei sbriciolato in mille pezzi» dice questa ragazza che vuole restare anonima, gli occhi puliti di chi sogna una vita semplice: una casa in cui andare a vivere con il fidanzato, magari un giorno dei bambini. Che un 24 dicembre qualsiasi, all'improvviso, si è sentita quasi risucchiata in un baratro. Proprio quando pensava di avercela quasi fatta: «Lavoravo come driver per loro da quasi due anni, mi ero impegnata al massimo perché quel lavoro sarebbe potuto diventare la pietra miliare di tanti progetti di vita, se fosse diventato a tempo indeterminato» racconta. E invece, con una telefonata, per quanto empatica e comprensiva, tutto va in frantumi: «Cosa ho pensato? Solo ondate di rabbia e di disperazione, cercavo di trovare le parole giuste per dirlo al mio ragazzo, anche lui allora con un lavoro precario – dice –. Poi ho pensato al mutuo che avevamo fatto poco prima per la casa nella quale viviamo e mi è venuta l'ansia tremenda di non riuscire a farcela. Erano tre anni fa, ma mi ricordo tutto come se fosse adesso».

L’ultimo giorno di lavoro

«Per fortuna io non ho figli, né famiglia» dice un altro driver che ha subito la stessa sorte quest'anno. Tocca ascoltare pure questo. Anche lui vuole rimanere anonimo: lavorava da quasi due anni per una delle aziende fornitrici di servizi di consegna per il deposito di Montacchiello. «Ci crede se le dico che in tutto questo periodo non ho preso un solo giorno di ferie?» sorride sarcastico. Il 31 dicembre scorso a fine turno, gli hanno comunicato che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno di lavoro.

«Non è l'unico, sono diversi i casi di coloro che avevano cumulato quasi due anni di contratti a tempo determinato per la stessa azienda e che hanno ricevuto la stessa comunicazione – spiega Sabino Rotella della Filt Cgil di Pisa -: Quanti? Precisamente, purtroppo, non lo sappiamo: noi siamo a conoscenza di una decina di casi simili, ma potrebbero essere di più, a fronte di due o tre stabilizzazioni». I lavoratori di cui parla Rotella non sono “natalini”, come vengono chiamati in gergo i trasportatori assunti per qualche mese a tempo determinato per far fronte ai picchi di lavoro che si verificano in alcuni periodi dell'anno, in modo particolare in quello precedente alle festività natalizie.

La sigla

«In quel caso è abbastanza comprensibile che non vi siano ulteriori contratti – spiega –. Noi abbiamo posto la questione di quei lavoratori che non sono stati rinnovati, dopo quasi due anni precariato, tenendo presente che alla fine del biennio non sono possibili ulteriori contratti a tempo determinato: o si viene stabilizzati, come speravano questi lavoratori, oppure bisogna cercarsi un altro lavoro. A nostro parere è una scelta chiara, diretta a mantenere molti lavoratori in condizione di precarietà per poterli sfruttare più facilmente: per noi è inaccettabile la pratica di spingere questi dipendenti a dare il massimo, illudendoli con la prospettiva di un'occupazione stabile, per poi scaricarli una volta sfruttate le loro capacità e disponibilità». Beninteso, non c'è traccia d'illegalità in tutto questo: sono semplicemente contratti di lavoro che vanno in scadenza e non vengono rinnovati. Di quelli che fanno dire: «Per fortuna non ho famiglia, né tantomeno figli».

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