Il Tirreno

Le indagini

Assalto ai portavalori, cosa racconta agli investigatori l'analisi del dialetto dei banditi

di Stefano Taglione

	L'assalto al portavalori sulla variante Aurelia a San Vincenzo
L'assalto al portavalori sulla variante Aurelia a San Vincenzo

La pistola trovata su un’auto è risultata appartenere a una guardia giurata

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SAN VINCENZO. Comparazioni audio per cercare di dare un volto e un nome ai rapinatori coperti dai passamontagna e analisi forensi per scoprire l’esplosivo utilizzato per far saltare il furgone carico di soldi. Dal 28 marzo scorso, il giorno dell’assalto a ferro e fuoco ai portavalori della Battistolli lungo la Variante a San Vincenzo, le indagini dei carabinieri non si sono mai fermate.

La raccolta di tutte le immagini

In primis, i militari dell’Arma, hanno fatto appello a tutte le persone della zona affinché consegnassero i video in alta definizione girati in quei concitati momenti, quando cinque guardie giurate dell’azienda veneta, appena partite dalla sede di Cecina alla volta del caveau di Grosseto, sono state costrette all’alt dai banditi con due grossi furgoni rubati in provincia di Siena, e poi incendiati, che insieme al resto della banda che viaggiava su due auto (di marca Volvo, rubate a Roma mesi prima e ritrovate abbandonate in provincia di Pisa) ha portato via dai blindati oltre tre milioni di euro di pensioni destinati agli uffici postali della Maremma (sui quattro trasportati). 

Il medico minacciato con il kalashnikov

Minacciandolo con un kalashnikov, in quei frangenti, uno dei rapinatori ha inoltre costretto un medico di Orbetello in coda per tornare a casa a scendere dall’abitacolo, portando via la sua Volkswagen Tiguan. Su una delle macchine ritrovate è stata poi sequestrata una pistola, risultata appartenere a una delle cinque guardie giurate – quattro uomini e una donna – costrette a scendere dai due furgoni, disarmate e obbligate a camminare verso la galleria della “superstrada”, lontano dai mezzi dove nel frattempo la banda iniziava a operare per rubare quanti più soldi possibile.

Scene, in quei concitati momenti, documentate da diversi filmati agli atti dell’inchiesta delegata dalla procura di Livorno agli stessi carabinieri, intervenuti per primi vicino al tunnel di San Carlo, dove abitano parecchie persone ed è stato impossibile non riuscire ad accorgersi dell’assalto, complice anche la densa colonna di fumo che si è sprigionata dopo l’incendio, provocato dagli stessi rapinatori, ai furgoni rubati usati per impedire la fuga ai portavalori nel tratto dove erano in corso i lavori e una corsia era interdetta al transito.

Cosa ci dice l'analisi dei dialetti

Fin da subito, inoltre, l’accento dei responsabili del colpo è risultato essere sardo, con ogni probabilità del Nuorese. Difficile, in un momento di tensione così alto, dissimulare un diverso modo di parlare, motivo per il quale c’è la totale certezza che la banda sia arrivata, o comunque sia originaria, della seconda isola italiana. Analogamente, diversi episodi avvenuti lì di assalti ai blindati carichi di soldi, avrebbero modalità affini a quella messa in atto poco prima dell’uscita di San Vincenzo sud, circostanza che avvalora la “pista sarda”, imboccata fin dall’inizio dai militari dell’Arma, che stanno indagando sia con il nucleo investigativo labronico, comandato dal maggiore Guido Cioli, sia con i colleghi della Compagnia di Piombino, guidati dal pari grado Luca Saliva. Un’inchiesta difficile, che si annuncia molto lunga, sui quali vi è da settimane la totale concentrazioni degli investigatori e della procura labronica.


 

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