Elba, mare rosso e spiaggia deturpata: dopo 25 anni condannati a pagare 5,6 milioni
Anno 1999: il progetto di ripascimento a Cavo è un disastro, materiali e rifiuti ferrosi finiscono sull’arenile. Maxi risarcimento chiesto a ex sindaco, assessori e progettista
CAVO. Il progetto di ripascimento si trasforma in un disastro. Sulla spiaggia di Cavo ci finiscono materiali ferrosi, il mare diventa rosso come il sangue. Tredici avvisi di garanzia, solo quattro persone rimaste coinvolte nel processo andato avanti per anni: l’ex sindaco di Rio Marina Roberto Antonini, l’allora vicesindaco Luigi Valle, l’assessore ai lavori pubblici del tempo Gian Piero Guerrini e il tecnico progettista Luciano Fantoni. Siamo nel 1999, è passato un quarto di secolo. Eppure una storia che pareva dimenticata riemerge dal nulla, con una sentenza di primo grado della seconda sezione civile del tribunale di Livorno che, dopo così tanti anni, risulta ancora più clamorosa. Cinque milioni e 592mila euro da risarcire al ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica per il danno ambientale arrecato, da corrispondere in solido tra i quattro "convenuti" su cui ormai da un quarto di secolo pende la spada di Damocle della giustizia. Una mazzata pesante che, al netto delle responsabilità, scuote le vite segnate dai tempi interminabili dei processi. E non finisce qui, visto che i legali dei quattro sono già al lavoro per impugnare in Appello la sentenza di primo grado. Insomma, la partita è ancora aperta.
La condanna
Il giudice della seconda sezione civile del tribunale di Livorno Susanna Zanda si è pronunciata lo scorso 11 di ottobre sulla vicenda del ripascimento della spiaggia di Cavo, un caso che scosse il versante dell’isola d’Elba nel 1999. Si tratta solo dell’ultimo capitolo di una vicenda giudiziaria che parte da lontano. C’è da individuare l’entità del risarcimento che l’ex sindaco del Comune ex minerario, i due assessori e il tecnico responsabile del ripascimento dovrebbero versare nelle casse del ministero all’ambiente e alla sicurezza energetica per un intervento di ingegneria ambientale che finì per danneggiare in modo evidente la spiaggia di Cavo. È lo stesso tribunale di Livorno, nel corpo della sentenza di condanna a riavvolgere il nastro del caso dei quattro imputati, mai condannati in via definitiva nel procedimento penale, ma condannati a risarcire il danno dal tribunale civile.
La storia
Il progetto di ripascimento della spiaggia di Cavo viene progettato, approvato e messo concretamente in campo nell’arco di due anni, dal 1997 al 1999. Responsabile dell’iter autorizzativo è il Comune di Rio Marina (oggi non esiste più dopo la fusione con il Comune di Rio nell’Elba). Il sindaco è Roberto Antonini. Trovare una soluzione per Cavo è una priorità: dove oggi ci sono stabilimenti e attività balneari, all’epoca c’era poca spiaggia, quasi scomparsa a causa dell’erosione. Per effettuare il ripascimento si scelgono sedimenti compresi nell’area ex mineraria. Era il gennaio del 1999 e l’ obiettivo era quello di rifare la spiaggia, un progetto elaborato in tre lotti. La bellezza dell’arenile sarebbe stata preservata grazie alla regolazione del flusso delle correnti. I lavori furono ultimati finché il mare improvvisamente non cambiò colore diventando da blu a rosso, a causa dei rifiuti e dei materiali depositati nell’arenile. Poi le proteste e l’inchiesta giudiziaria coordinata dalla Procura intitolata "Mar Rosso". La spiaggia fu sistemata solo in seguito a un nuovo intervento di ripascimento, con una spesa ingente sostenuta dal ministero. Tredici furono gli avvisi di garanzia, dentro amministratori, funzionari di enti e forze dell’ordine. Ma alla fine, tra proscioglimenti e assoluzioni, gli unici a restare agganciati allo scandalo giudiziario furono Antonini, Valle, Fantoni e Guerrini, imputati per abuso edilizio, violazione del decreto Ronchi e per il reato contravvenzionale "getto di cose pericolose".
Processo infinito
Nel 2003 i quattro furono condannati in primo grado e anche al risarcimento del danno. Due anni dopo la Corte di Appello di Firenze, però, li assolse per un capo della condanna, dichiarò estinti per prescrizione tutti gli altri capi e revocò le statuizioni civili. La sentenza, tuttavia fu impugnata in Cassazione da alcune parti civili, tra cui il ministero dell’ambiente. La Suprema Corte si pronunciò nel 2007, annullando la sentenza impugnata in relazione alle statuizioni civili nei confronti delle parti ricorrenti e rinviò alla Corte di Appello di Firenze in sede civile per una nuova condanna. Nel 2014 ecco la sentenza definitiva della Corte di Appello, che condannava i quattro, in solido tra loro, al risarcimento del danno, da liquidarsi in un giudizio separato, anche nei confronti del ministero. Insomma, c’era da capire l’entità del danno da risarcire. Ci sono voluti altri dieci anni per arrivare alla sentenza di primo grado. L’ex sindaco di Rio Marina, alla stregua delle altre persone coinvolte nel procedimento, è già al lavoro con il legale di fiducia per preparare il ricorso in Appello, in modo da chiedere l’annullamento della sentenza del tribunale civile di Livorno e, contattato dal Tirreno, si riserva di intervenire pubblicamente sulla vicenda.