Il Tirreno

La sentenza

Botte in caserma, chi sono i 23 condannati: pene per quasi 70 anni di carcere per i casi in Lunigiana

di Gabriele Buffoni

	La caserma di Aulla
La caserma di Aulla

Si è chiuso il primo grado del maxi-processo con numerosi carabinieri tra gli imputati. Sconcertato il sindacato di categoria della Toscana

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AULLA. In tutto poco meno di 70 anni di pena per un totale di 23 condannati. Si conclude così il primo grado del maxi-processo per i presunti maltrattamenti in alcune caserme della Lunigiana che ha visto imputate 25 persone, la maggior parte delle quali carabinieri in servizio – all’epoca dei fatti – proprio nel territorio lunigianese. Un elenco infinito quello dei capi d’imputazione (ben 189): i reati contestati, a vario titolo, spaziano dalle lesioni al falso in atti, abuso d’ufficio, rifiuto di denuncia, sequestro di persona, possesso abusivo di armi e anche violenza sessuale (per un episodio legato a una perquisizione che l’accusa ha ritenuto effettuata con violazione della libertà personale).

Una sentenza «che non condividiamo – commentano gli avvocati Gian Paolo Carabelli e Camilla Urso, incaricati della difesa di gran parte degli imputati – possiamo affermare con sicurezza che siamo pronti a impugnarla in Appello».

La sentenza

Nell’aula gremita del tribunale di Massa, alla lettura della sentenza pronunciata dalla giudice Antonella Basilone (in qualità di presidente, affiancata dai giudici Dario Berrino e Marta Baldasseroni), i carabinieri imputati restano in silenzio. Alcuni si accingono quasi a una muta esultanza mentre, nella prima fase della lunga lettura del dispositivo, vengono snocciolate le assoluzioni, le avvenute prescrizioni e i “non luogo a procedere” per alcuni episodi specifici dell’inchiesta. Poi però arriva la pioggia di condanne, e con esse una doccia fredda che inizia dall’allora brigadiere capo della caserma di Aulla, Alessandro Fiorentino, che riceve il responso più duro dai giudici: 9 anni e 8 mesi di reclusione.

Per lui, Amos Benedetti (condannato a 7 anni) e Andrea Tellini (5 anni e un mese) scatta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici – per Fiorentino è stata applicata anche l’interdizione perpetua «da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, curatela e amministrazione di sostegno e la misura di sicurezza dell’obbligo di tenere informati gli organi di polizia sulla propria residenza e sugli eventuali spostamenti per un anno da eseguirsi a pena espiata» – mentre per Luigi Stasio (condannato a 3 anni e 10 mesi), Iain Charles Edward Nobile (5 anni e 3 mesi), Flavio Tursi (3 anni e 6 mesi), Luca Granata (4 anni e 3 mesi), Matteo Sais (3 anni e 9 mesi), Marco Manetta (3 anni e 9 mesi) Emiliano Crielesi (4 anni), Gianluca Varone (5 anni e un mese), Daniele Bacchieri (3 anni e 5 mesi) e Simone Del Polito (3 anni e 6 mesi) l’interdizione prevista è di cinque anni. Oltre a loro vengono condannati anche Giovanni Farina (9 mesi, pena sospesa), Omar Lomonaco (un anno e 4 mesi, pena sospesa), Salvatore Leone (8 mesi, pena sospesa), Francesco Rosignoli (10 mesi e 10 giorni, pena sospesa), Giuseppe Ernesto (8 mesi, pena sospesa), Abdellah Agoube (9 mesi), Massimo Del Vecchio ( 8 mesi, pena sospesa), Paolo Bucci (8 mesi, pena sospesa), Mauro De Pastena (2 mesi, pena sospesa) e Diego Gradellini (8 mesi, pena sospesa).

La maxi-inchiesta

Dopo otto anni di udienze si è arrivati infine a una prima sentenza di condanna che, nella maggior parte dei casi, ha comunque ridotto in maniera sensibile le richieste presentate dai pm Marco Mansi e Alessia Iacopini (fu lei ad aprire l’inchiesta prima del trasferimento in un’altra Procura, ma ha continuato a seguire il caso): la pubblica accusa aveva infatti richiesto pene anche più pesanti, in alcuni casi fino anche a 16 anni di reclusione.

Le indagini sono partite nel 2011, dall’esposto per lesioni presentato contro ignoti da un cittadino marocchino che sostenne di essere stato percosso da un carabinieri. Nel 2013 lo stesso cittadino identifica il militare: inizia così una prima fase dell’inchiesta che si avvale dell’ausilio delle intercettazioni telefoniche. Nel 2016 arriva un secondo esposto e vengono avviate anche le intercettazioni ambientali nelle caserme e nelle auto di servizio. Fino al febbraio 2017, quando il caso esplode con le perquisizioni nelle caserme lunigianesi e nelle abitazioni dei carabinieri indagati.

Un processo infinito in cui la difesa ha contestato spesso la validità delle prove presentate dalla Procura. «Impugneremo sicuramente la sentenza – assicurano gli avvocati Carabelli e Urso – in termini di quantificazione della pena c’è stata una notevole riduzione rispetto alle richieste dei pm, ma anche se non ci aspettavamo un’assoluzione riteniamo ci siano tutti i presupposti per ottenerla. Ora attenderemo le motivazioni (che saranno pubblicate entro 90 giorni, nda) poi presenteremo appello». «Siamo speranzosi che giustizia venga fatta – commenta Nizar Akalay Bensellam, segretario generale toscano del Nuovo sindacato carabinieri – oggi (ieri, ndr) la delusione per la non comprensione della vicenda è molta: la nuova battaglia si sposterà alla Corte d’Appello di Genova». 


 

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