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LA PARTITA DEl DOPPIO EX 

Viviani: «Tifo Lucchese, il Siena fu un errore»

Luca Tronchetti
Viviani: «Tifo Lucchese, il Siena fu un errore»

L’ex attaccante, padre della punta della Spal, vinse il campionato di C2 e l’anno dopo realizzò tre gol decisivi per la salvezza 

21 novembre 2021
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Luca Tronchetti

LUCCA. Per due stagioni Lucca è stata la sua città. Lì è nato il figlio primogenito Daniele, lì ha vinto il suo primo campionato in carriera, lì avrebbe voluto proseguire con il calcio tanto che oggi la Lucchese è una delle squadre che segue con maggiore affetto quando la domenica va a controllare i risultati delle partite. Mauro Viviani, 58 anni, oggi allena per diletto una società di settore giovanile vicino a Orvieto e segue da vicino il secondo figlio Federico, 29 anni, nato a Lecco dove lui aveva giocato qualche anno dopo Lucca, attualmente centrocampista della Spal dopo aver militato a Bologna, Padova, Pescara, Latina, Frosinone e Livorno. Dopo quasi trent’anni di servizio è andato in pensione dalla residenza sanitaria assistita di Montefiascone dove lavorava come Oss (operatore socio sanitario).

Riavvolgiamo il nastro dell’esistenza per un attimo: come arriva nella Lucchese?

«Mi volle il presidente Maestrelli. Giocavo nel Frosinone e ricordo venne a vedermi assieme al diesse Gambetti. Dovevamo salire di categoria, ma perdemmo all’ultima giornata e così nell’estate del 1985 arrivai alla Lucchese. Dico la verità: mi voleva il Pescara. Ma in quel periodo il club rossonero era una società in crescita con una proprietà ambiziosa e non ebbi dubbi a preferire la Toscana all’Abruzzo nonostante la differenza di categoria. Le dirò di più: sbagliai ad andarmene. Potevo rimanere qualche anno e invece mi feci convincere dal povero Adriano Lombardi a seguirlo a Siena. E nell’estate del 1987 io e il centravanti Gabbriellini ci trasferimmo nella città del Palio».

Nella Lucchese, nonostante un campionato vinto, ebbe qualche dissapore con il tecnico Renzo Melani.

«A distanza di tempo con il mister ci siamo chiariti. Lui era un pragmatico curava in modo maniacale la fase difensiva e da noi calciatori pretendeva concretezza. Voleva che tutti rientrassero e non gradiva che ci prendessimo delle licenze in fase di possesso palla. Io ero un po’ troppo innamorato del pallone: mi piaceva provare il dribbling e la giocava. E quando perdevo palla mi riprendeva pesantemente».

Differenze tra Lucca e Siena.

«Due città bellissime. Ma in quegli anni a Siena non c’era la passione per il calcio. Loro avevano il basket e il Palio e solo dopo veniva il pallone. Ricordo che mi prese l’intramontabile ds Nelso Ricci. Ma le cose andarono male. Lombardi venne esonerato e subentrò Romano Fogli, un grande signore in panchina e un grande calciatore tanto che in allenamento ci dava dei punti nonostante avesse cinquant’anni. Arrivammo a metà classifica e il pubblico ci fischiò per buona parte del campionato. Per questo oggi tifo Lucchese».

Differenze tra il suo calcio e quello di suo figlio Federico.

«Un abisso sul piano economico e dei rapporti umani. Con l’avvento dei procuratori i calciatori guadagnano di più, ma manca la genuinità e la spontaneità della mia epoca. Adesso i rapporti sono molto più sofisticati e scanditi da regole e da paletti fissati dai club. I giocatori paradossalmente sono meno liberi mentalmente. Ricordo i dodicimila del Porta Elisa contro l’Alessandria e il gol di Salvi che consentì di vincere la partita. Che squadra quella! Siamo ancora tutti in contatto tramite un gruppo su WhatsApp orchestrato da quelle sagome di Casarotto e Biferari».

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