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Maggiano, 25 anni fa l’addio: «Così chiudemmo il manicomio»

di Marco Innocenti
Il gruppo che ha partecipato a Maggiano alla piccola cerimonia per la chiusura del manicomio
Il gruppo che ha partecipato a Maggiano alla piccola cerimonia per la chiusura del manicomio

Nel 1999 fu dimesso l’ultimo paziente, a oltre due decenni dalla legge Basaglia. Lo psichiatra Marchi: «Qui eravamo già all’avanguardia nel trattamento»

10 luglio 2024
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LUCCA. Ha un valore particolare la piccola cerimonia tenuta domenica scorsa, 7 luglio, a Maggiano, durante “L’Ultima chiave”, il tour narrativo-esperienziale organizzato in collaborazione con la Fondazione Mario Tobino dalle associazioni Alap, Società medico chirurgica lucchese, Centro studi Lippi Francesconi e Archimede, con la partecipazione del gruppo artistico MT6 coordinato da Enrico Marchi e Michela Panigada.

La giornata e il significato

È stata l’occasione per ricordare i 25 anni dalla definitiva, effettiva chiusura dell’ospedale psichiatrico di Fregionaia, oltre vent’anni dopo la legge Basaglia del 1978. In un momento in cui aleggia, forte, il rischio di un ritorno a qualche forma di riapertura dei manicomi evocata da più parti, assumono un valore esemplare, quasi un monito, le vicende e i trattamenti nell’ospedale psichiatrico reso celebre dai romanzi di Mario Tobino, da drammi come il massacro da parte dei nazifascisti del direttore Guglielmo Lippi Francesconi e dal “periodo d’oro” dell’“ospedale-paese” creato dal direttore Domenico Gherarducci.

Come ricorda il professor Enrico Marchi, già direttore dei servizi psichiatrici dell’Asl 2 di Lucca, ancora 14 anni dopo la legge che chiudeva i manicomi, nel 1992 Maggiano ancora ospitava circa 200 pazienti. Solo dopo 21 anni di lenta e non indolore dismissione, si riuscì a chiudere lo storico ospedale psichiatrico sul colle di Fregionaja, che vantava 200 anni di storia. Una storia densa di grandi cambiamenti scientifici nel settore, specialmente dagli anni Cinquanta in poi per l’avvento della psicofarmacologia moderna, ma anche di stili di assistenza che spesso coincidevano con il succedersi alla direzione del nosocomio. Ogni direttore dava il suo indirizzo, il suo stile, talora risentendo anche di impulsi provenienti dalla mentalità corrente e dalla visione sociale della malattia mentale.

Le storie

«Si passava da periodi in cui prevaleva la custodia, con tutto il suo corteo di restrizioni fisiche e morali – spiega Marchi – ad altri in cui prevaleva il “trattamento morale degli alienati” con i pazienti al centro di buone pratiche terapeutiche e riabilitative, che a Maggiano ebbero comunque vasta applicazione». Sono senz’altro da ricordare le figure del direttore Guglielmo Lippi Francesconi, ucciso dai nazisti per aver democratizzato l’assistenza e difeso i diritti dei suoi pazienti, di Mario Tobino, psichiatra e scrittore che narrava la vita dei pazienti e il loro intenso bisogno di amore, e l’illuminato direttore Domenico Gherarducci che, negli anni Sessanta, riuscì a ribaltare la logica manicomiale attraverso un enorme impegno di riorganizzazione e di operatività riabilitativa che, molto prima della legge 180, preannunciava il superamento degli ospedali psichiatrici.

A Maggiano

Da ricordare anche le figure degli psichiatri Giovan Battista Giordano e Andrea Devoto, tutti impegnati nell’umanizzazione delle cure. E, con loro, la figura di Franco Perna, impareggiabile operatore infermieristico dedito alla terapia riabilitativa dei ricoverati, e ideatore e organizzatore del “Festival della canzone” di Maggiano che per sei edizioni (1964-1969) vide la partecipazione di quindici ospedali psichiatrici da tutta Italia, facendo testo – anche a livello scientifico-terapeutico – per i benefici della ludo-musicoterapia o “leggera cura”.

«A Maggiano – ricorda Marchi – già molti anni prima della Legge 180 del 1978 si era iniziata la dimissione protetta dei pazienti che avevano raggiunto un miglioramento sensibile. Nella nostra provincia era stata organizzata una discreta rete territoriale di ambulatori che comprendeva la Piana, la Garfagnana e la Versilia. Ciò grazie anche ai direttori che credevano fortemente nella possibilità di cura attraverso il reinserimento sociale e la collaborazione con gli enti locali e le famiglie».

Dopo il 1978

Nonostante quest’importante e lunga esperienza, dopo il 1978 non fu però facile continuare e accelerare un processo che appariva doveroso proprio sul piano scientifico oltreché umano, rendendo di fatto superate le misure riabilitative e assistenziali, sebbene non più così restrittive, che venivano praticate in alcune sedi manicomiali. Nel 1980 l’ospedale di Fregionaia passò dalla Provincia alla Usl 6 di Lucca, in un momento in cui l’avvento della Legge 180, contestualmente allo spostamento di molti operatori che avevano scelto di lavorare all’esterno, aveva creato una sorta di “disinvestimento collettivo” su di una struttura considerata superata e antiterapeutica.

«L’anacronismo del manicomio – dice Marchi – appariva sempre più chiaro alla luce dei risultati ottenuti dalla psichiatria territoriale sempre di più legata a pratiche domiciliari, riabilitative multidisciplinari. L’ospedale di Maggiano agli inizi degli anni Novanta era organizzato in sei moduli (tre case famiglia e tre piccoli reparti). Il regime di assistenza fu orientato verso una modalità non restrittiva e molte attività interne di riabilitazione funzionarono in poco tempo a pieno regime, grazie all’impegno di infermieri, educatori, psicologi e assistenti sociali. La figura dello psichiatra era presente come consulenza. Molto lentamente si procedeva alla dimissione dei pazienti più idonei o più seguiti dalle famiglie di origine».

Le maggiori difficoltà che si registrarono nelle dimissioni dei duecento ricoverati rimasti, dal 1992 al 1999, furono dovute alla scarsa disponibilità dei familiari ad accogliere di nuovo i propri congiunti, e anche alle resistenze delle Asl di provenienza (Versilia, Mediavalle-Garfagnana e Massa e Carrara).

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