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Livorno

Il processo

Livorno, la "banda delle ville" e il notaio imputato: «Vignoli ha sempre agito con rigore»

di Stefano Taglione
Il notaio livornese Valerio Vignoli
Il notaio livornese Valerio Vignoli

L'arringa difensiva dell'avvocato Bassano in tribunale: «Era in buonafede, mai nessun profitto, si è sempre limitato all’istruttoria delle pratiche di conferimento degli immobili nelle società»
 

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LIVORNO. «La buona fede del notaio Valerio Vignoli ha trovato conferma in due circostanze decisive. La prima è che non ha mai percepito alcun compenso per l’attività, che si è sempre limitata all’istruttoria delle pratiche di conferimento degli immobili nelle società. La seconda è che a tutela dei venditori e a differenza di un altro notaio coinvolto in una delle vicende, non ha inteso rogare alcun atto di conferimento di immobili nelle società inglesi prima che si manifestasse l’investitore che avrebbe dovuto acquistare poi le quote; investitore che, alla fine, Nicola Calderini (uno degli altri imputati, ritenuto dalla procura l’artefice e per il quale ha chiesto 12 anni di reclusione ndr) non ha mai presentato. Di fronte all’evidenza che perciò Vignoli non aveva tratto alcun profitto dalle operazioni architettate da Calderini, il pm non ha prospettato un movente plausibile del suo concorso nelle truffe, parlando solo di un inverosimile “debito di riconoscenza” del notaio verso Giuseppe Doveri (un altro imputato, per lui una richiesta di dieci anni ndr) e verso Calderini per trascorsi rapporti professionali».

Il processo

È un passo dell’arringa dell’avvocato Paolo Bassano, che insieme al professor Tullio Padovani difende il notaio settantatreenne Valerio Vignoli, ex presidente del Consiglio notarile di Livorno e imputato per una presunta associazione per delinquere finalizzata alle truffe immobiliari, la cosiddetta “Banda delle ville”, un’inchiesta ora arrivata nelle fasi finali del processo di primo grado con 42 ipotesi di raggiri (fra tentati e riusciti) e nove imputati. Secondo gli investigatori le persone coinvolte avrebbero messo in scena di volta in volta la stessa sceneggiatura che avrebbe avuto la regia a Livorno e che nel corso degli anni – i reati contestati vanno dal 2017 al 2020 – si sarebbe poi perfezionata. Si sarebbero presentati ai proprietari come mediatori di costruttori o magnati, banche o società disposti a pagare milioni per quei beni. Unica condizione per l’affare: costituire una società “Limited”, a carico dei proprietari, dove far confluire il bene (ruderi, hotel, ville per esempio) per agevolare l’affare. Operazione che poteva variare tra gli otto e i trentamila euro. Vignoli, che si dichiara estraneo ai fatti, è chiamato in causa per sette dei 42 casi e per lui, il pm Massimo Mannucci, ha chiesto tre anni e quattro mesi, mentre i suoi avvocati l’assoluzione. A giugno è attesa la sentenza.

«Lui estraneo ai raggiri»

«Nella discussione sono stati esaminate le vicende nelle quali si ipotizzava un concorso del notaio con Calderini, Doveri e Mike Berni (un altro imputato ndr), in alcune delle truffe consumate o tentate, soltanto sette delle 42 descritte – ha spiegato l’avvocato Bassano – concorso che consisterebbe, secondo l’accusa, nell’avere “rassicurato” le vittime della “professionalità del Calderini, della regolarità, fattibilità e abitualità delle operazioni proposte”. Dall’istruttoria è emerso però che Vignoli non ha mai dato alcun tipo di rassicurazione su Calderini, che si presentava come mediatore per gruppi finanziari interessati all’acquisto e nemmeno ha fornito referenze su di lui. Si è limitato, quando ne è stato richiesto, a chiarire che il conferimento di beni immobili in società straniere è un’operazione consentita e lecita, e che il successivo acquisto delle quote sarebbe stata ugualmente lecita, ma sottratta al controllo di un notaio italiano. Soprattutto è sempre rimasto estraneo alle operazioni di costituzione, curate da Calderini con accordi diretti con le vittime spesso già prima che queste ultime prendessero contatto con Vignoli. Il notaio era ignaro degli importi che i truffati avevano o avrebbero negoziato per la costituzione delle società: tanto è vero che mai nessuno di loro si è lamentato con lui, prima o dopo gli esborsi a Calderini, di quanto aveva pagato e di non aver potuto recuperare i costi di costituzione della società dopo che l’operazione di vendita non era andata a buon fine».

«Ha fatto tutte le verifiche»

«Nemmeno l’accusa di partecipazione all’associazione – ha proseguito l’avvocato – ha trovato conferma nell’attività di indagine e nell’istruttoria, perché dalle intercettazioni telefoniche e ambientali protratte per mesi non sono emersi contatti fra Doveri, Calderini, Berni e il notaio per organizzare le attività, né per negoziare compensi. Le intercettazioni hanno invece rivelato che Vignoli ha fornito ai clienti e ai professionisti che li assistevano informazioni corrette e appropriate sulle operazioni, sotto il profilo giuridico e fiscale, attenendosi con rigore agli obblighi di terzietà, di indipendenza e di riservatezza imposti dalla legge e dai principi di deontologia. In particolare Vignoli ha compiuto tutte le verifiche che la legge gli imponeva sulla legittimità degli atti che avrebbe dovuto rogare, senza consapevolezza e senza volontà di favorire operazioni illecite e anzi indirizzando ripetutamente i venditori verso professionisti specializzati in diritto anglosassone per quelle operazioni che un notaio italiano non poteva compiere. L’estraneità all’associazione e all’organizzazione delle frodi e l’irrilevanza del suo apporto è dimostrata dal fatto che nella maggior parte delle vicende – in 35 casi su 42 – non è stato coinvolto in nessuna fase; mentre nelle poche situazioni nelle quali è stato interessato per i conferimenti, più spesso i venditori avevano già costituito le società o lo hanno fatto consapevolmente assumendosene il rischio, dopo aver acquisito consulenze di professionisti esperti ai quali Vignoli li aveva indirizzati».

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