Il Tirreno

Livorno

Il nuovo romanzo

Paolo Ruffini racconta Mussolini da bambino: «Studiando la sua infanzia, ho capito che era ai confini con l’autismo»

Paolo Ruffini racconta Mussolini da bambino: «Studiando la sua infanzia, ho capito che era ai confini con l’autismo»

L' attore e regista livornese presenta "Benito, presente!" nella sua città: "Ho voluto raccontare una favola che attraversa la Storia, lasciando intravedere cosa saremmo tutti se qualcuno ci educasse all’amore"

5 MINUTI DI LETTURA





LIVORNO. Livornesissimo, nonostante abbia scelto Milano come seconda patria, Paolo Ruffini, quarantasei anni - li ha compiuti a novembre – è attore, regista, produttore e anche scrittore. Da sempre impegnato nel sociale, soprattutto nei temi che riguardano la fragilità e l’inclusione. Insieme al pedagogista Lamberto Giannini, fondatore e regista della compagnia teatrale Mayor Von Frinzius, si esibisce in spettacoli spesso sold out, al fianco di attori con sindrome di Down «che mi danno molto più di quanto ricevono e mi fanno tanto ridere», afferma. Nel 2022 ha firmato sceneggiatura e regia del documentario “PerdutaMente, un viaggio intorno all’Alzheimer”; ha creato poi sui social format come “Il baby sitter” e “Il badante”, dove dialoga con bambini e anziani, tirando fuori dalle loro parole la magia della spontaneità. E, non contento, si è inventato da poco anche una trasmissione radiofonica, che va in onda il sabato alle 20 su Radio 24, coinvolgendo come co-conduttore Federico Parlanti, «uno degli attori più attivi del gruppo teatrale». Saltabeccando fra le repliche dello spettacolo “Din don Dow – alla ricerca di Dijo” e le prove del musical “Sapore di mare” (che ha debuttato in anteprima nazionale al Verdi di Montecatini, ripercorrendo in versione teatrale la storia del film, scritta dai fratelli Vanzina), il prolifico Paolino ha trovato il tempo per “inventarsi” un libro su Mussolini bambino (titolo: “Benito, presente!”, editore Baldini+Castoldi). Un romanzo di cui va orgoglioso, che porterà a Livorno lunedì 17 febbraio alle 18 all'interno della Galleria di Officine Storiche di Porta a Mare.

«Con “Benito, presente!” ho voluto raccontare una favola che attraversa la Storia, per riconciliare il lettore con un destino diverso, lasciando intravvedere cosa saremmo tutti se qualcuno ci educasse all’amore, non solo a scuola, ma nella vita, esortandoci, fra un sorriso e una riflessione, a domandarci se vale la pena essere dei duri a tutti i costi».

Decisione non facile in un momento come questo.

«Il momento è tosto, è vero. Si sta vivendo un periodo storico complicato, una terra di mezzo fra la nuova e la vecchia epoca, in cui non abbiamo ancora imparato bene come si usa il digitale e quali sono gli inciampi che si possono incontrare in un mondo virtuale, cercando di capire la differenza fra un robot e un uomo».

Secondo lei, vogliamo davvero essere come l’intelligenza artificiale che l’uomo ha creato?

«Sì. E la cosa assurda è che non vorremmo sbagliare mai, perciò di fronte a chi ci sottolinea un errore, diventiamo subito suscettibili, pensando ormai di essere super uomini, mentre abbiamo una grande fragilità. Detto ciò mi sembrava interessante rovesciare i punti di vista: come spesso accade un uomo di sinistra, forse estrema, rischia di essere più fascista dei fascisti che accusa e questo è palese, come è palese che ci sia stato un fraintendimento di ideologia, un problema di fondo».

Se tornasse bambino che rapporto potrebbe instaurare con un compagno come Benito?

«Studiando l’infanzia di Mussolini ho capito che era ai confini con l’autismo. Un bambino anaffettivo che non conosceva il valore di una carezza. Ma il mio libro non è un tentativo né di giustificare né di alleggerire. Caso mai di scandagliarne i meccanismi psicologici che subentrano in ognuno di noi nella prima infanzia e non solo in chi poi diventa un dittatore. Quindi, per prima cosa, cercherei di farlo giocare e anche perdere, come tentano di fare in maniera goffa i protagonisti del romanzo. E gli darei affetto e amicizia, aprendogli però gli occhi sui veri valori».

Nei dialoghi divertenti e teneri dei suoi format “Il baby sitter” e “Il badante”, si intravede tanta curiosità. Lei era curioso anche da piccolo?

«Curiosissimo. Anche la mia storia livornese lo dice. Con Enrico Battocchi, uno dei fondatori del “Nido del cuculo”, si andava in giro a discutere con la gente degli argomenti più svariati. E si parlava con tutti, anche con i matti, per sapere cosa pensassero».

Lei ha due fratelli che hanno seguito strade diverse dalla sua. Che rapporto c’è fra di voi?

«Un rapporto d’affetto e di rispetto anche se libero. Il maggiore, Armando, è in Marina, mentre l’altro, Andrea, è un ingegnere e lavora in un’azienda. Siamo molto diversi, ma ci osserviamo, ci scrutiamo, sempre incuriositi. Babbo Francesco con loro, nati quando lui era giovane, è stato molto più esigente, ma anche se io ho risposto meno alle sue richieste dal punto di vista scolastico, non l’ho mai deluso e, specialmente negli ultimi tempi della sua vita, era orgoglioso di me: il mio più grande fan».

Parlando dei nonni che non ha potuto conoscere, ha detto più volte che le sono mancati.

«È vero, mi sono mancati tantissimo. Per questo nei miei dialoghi li cerco».

Ritiene importanti i nonni per un bambino?

«Importantissimi. C’è molto più legame fra nonni e nipoti che fra genitori e figli. I nonni diseducano i nipoti e questa cosa è straordinaria: la loro disubbidienza è eccezionale. Per questo io che non ho figli, non mi vedo come padre ma mi vedrei come nonno e vorrei avere direttamente dei nipoti da viziare e con cui disubbidire. Cosa che mi garberebbe davvero!». l

© RIPRODUZIONE RISERVATA
 

Maratona elettorale

Politica

Elezioni in Germania, lo speciale sul voto – Diretta