Il Tirreno

Livorno

Il racconto

Esplosione a Calenzano, il risveglio del camionista ustionato: «Sono un miracolato, andiamo a casa»

di Stefano Taglione

	Ilenia Pellegrini insieme al marito Emiliano Braccini, 51 anni
Ilenia Pellegrini insieme al marito Emiliano Braccini, 51 anni

Livorno, Emiliano Braccini, ricoverato da mesi nel reparto Grandi ustioni di Cisanello, non è più in pericolo di vita. Quando ha riaperto gli occhi ha visto la figlia della moglie e un’amica e ha detto le sue prime parole: «Belle»

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LIVORNO. «Belle». La prima parola, dopo l’inferno di Calenzano, l’ha pronunciata vedendo saltare di gioia dalla vetrata della sua stanza di rianimazione la figlia della moglie e la sua migliore amica. «Belle», come quelle parole, a tratti insperate, uscite dalla sua bocca nel reparto grandi ustioni di Cisanello. «Dopo l’esplosione – racconta il cognato, per lui come un fratello, Juri Pellegrini – c’era il rischio che non sopravvivesse più di tre o quattro giorni. Così ci dicevano i medici. Invece ha tenuto duro, è forte, è sopravvissuto: ora non è più in pericolo di vita». «Sono un miracolato».

Emiliano Braccini, 51 anni, è il camionista rimasto gravemente ferito (sul suo corpo ustioni di secondo e terzo grado) nella deflagrazione del deposito Eni di Calenzano. Era il 9 dicembre dell’anno scorso, poco più di due mesi fa, quando l’autotrasportatore e volontario della Svs, che abita a Stagno, aveva appena caricato il carburante alla Toscopetrol di Livorno, consegnandolo nei vari distributori toscani e poi, come ogni giorno, entrato nel perimetro del sito industriale fiorentino, per l’esattezza alla pensilina numero sei, per fare un ulteriore viaggio. Era il camionista più vicino al luogo della tragedia. Poi l’esplosione e il trasporto d’urgenza in elicottero a Cisanello.

L’incubo per la moglie Ilenia Pellegrini, la “donna in rosa” guarita da un tumore al seno che ora allena in canoa e dà speranza alle altre ragazze operate, e per il fratello di lei, l’ex giocatore amaranto Juri: «Emi – racconta Ilenia – è un “ficoso”, quando aveva la febbre si lamentava sempre. Invece stavolta mi ha “sbugiardato”, perché è stato un combattente. Ha reagito benissimo, ora dovrà chiaramente andare avanti perché il percorso di riabilitazione sarà ancora lungo, sia a livello psicologico che fisico. È all’ospedale di Volterra e ci resterà almeno un mese e mezzo. Dovrà tornare a camminare, non sarà facile, ma quantomeno ha “scollinato” la parte più pericolosa, quello del rischio vita, ora alle spalle. Dopo potrà tornare a casa».

«Cosa mangiamo stasera?». «Minestrone». «Voglio tornare a casa il prima possibile, che ci sto a fare qui?». Queste altre sue parole, perché lo spirito non lo ha perso. «Risentire la sua voce, dopo quel che era successo – rimarca il cognato-fratello Juri – è stata un’emozione indescrivibile, la più grande. La sua tempra è forte, è una roccia: dopo quel che era successo non era facile venirne fuori, eppure lui da “giocherellone” qual è, è riuscito a essere fortissimo caratterialmente ed è ciò che lo ha aiutato». Ora, la speranza, è che a Pasqua “Emi” – questo il suo nomignolo – possa tornare finalmente a casa. Se lo augurano tutti. Un miracolo, dopo l’esplosione del deposito. «Non sappiamo ancora nulla su ciò che è accaduto lì – concludono i familiari – ma la cosa incredibile è andare a lavorare e non poter tornare più a casa. Siamo vicini a tutti i familiari di coloro che hanno perso la vita in questa immane tragedia».

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