Il Tirreno

Livorno

Carlo Azeglio Ciampi, al Quirinale con Livorno nel cuore

Mauro Zucchelli
Carlo Azeglio Ciampi, al Quirinale con Livorno nel cuore

L'ex presidente della Repubblica è morto a Roma. Aveva 95 anni ed era il livornese più illustre. Mantenne con la sua città sempre un legame speciale, un amore ricambiato. “Sono livornese e me ne vanto”, amava dire

16 settembre 2016
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«L’amaranto è la nostra bandiera…». Dev’essere stato il salmastro a far saltar fuori dal cassetto degli amarcord l’inno del Livorno, Carlo Azeglio Ciampi lo canticchia mentre sale lo scalone di Palazzo civico. Un gesto così livornese anche nel Presidente che, con quel mix di senso della misura e stile minimal, meno livornese di così non poteva sembrare, come disse Mario Cardinali, anima satirica del Vernacoliere nel giorno in cui Ciampi mise piede al Quirinale. Spedito lì da un voto pressoché  bipartisan (71,4%) così come sarà corale  l’applauso all’uscita di scena (e con uno standard di consenso nell’opinione pubblica costantemente fra il 70 e l’80% nei sondaggi per tutto il settennato).

La canzone da tifoso amaranto gli era scappata fuori anche nell’(istituzionalissima) intervista al Tg1 nel 2004. Fiorello a “Viva Radiodue” l’ha infilzato per mesi con una imitazione-tormentone che ne sfotteva la passionaccia da tifoso amaranto.

La solita strizzata d’occhio del politico che la butta sul pallone a caccia di feeling con la folla? Non in questo caso. Ciampi è stato il traghettatore dell’Italia nell’euro-economia nei giorni in cui l’Italia ha rischiato il patatrac come l’Argentina, di fare la fine della Grecia vent’anni prima della Grecia. Ciampi ha svolto funzioni di primissimo piano prima nell’economia e poi al massimo livello delle istituzioni senza mai passare dal vaglio di elezioni politiche. Dunque, cosa potrebbe aggiungergli  lo sventolare la bandiera della squadra della sua Livorno?

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In realtà, benché abbia avuto un aplomb che sapeva di britannico più che di ponce, non c’è mai stato un Capo dello Stato che abbia fatto un così forte richiamo al dna territoriale, alle proprie radici. La passione per il calcio, comprese l’abitudine di ascoltare le radiocronache delle partite amaranto, ne è tutt’al più un capitolo: anche se significativo. Come gli amarcord giovanili, visto che gli amici di una vita sapevano bene che  ancora adesso era in grado di snocciolare le formazioni delle squadre di quando aveva 13-14 anni. Non era proprio un caso che l’inno fosse quello dei tempi del campetto di Villa Chayes e che, da ragazzino, fosse lì sulle gradinate del nuovo stadio nel giorno dell’inaugurazione.

VIDEO: QUELLA VOLTA CHE CHIAMPI TELEFONÒ A FIORELLO DURANTE "VIVA RADIO2"

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Toglietevi dalla testa il classico legame del politico col paesello avito: un po’ di mangiatoia ad uso di clientela e cotillons. Anche perché Ciampi ha avuto il singolare destino di rappresentare una figura di statista sicuramente stimata e popolare, costruita però non salendo i gradini dell’ascesa all’interno di un partito bensì sulla base di una carriera di “servitore delle istituzioni” (con un lunghissimo mandato di governatore della Banca d’Italia, dal ’79 al ’93: solo Guido Carli è rimasto più a lungo alla testa dell’istituto).  Si potrebbe dire che anche questo risulta piuttosto curioso per un livornese: la nostra città è essa stessa un simbolo dell’appartenenza politica, addirittura della scissione, ma anche di un rapporto un po’ “mediterraneo” e sgarrupato con le forme dello Stato e delle istituzioni.

Forse fa parte solo dell’agiografia il quadretto di Carlo Azeglio Ciampi che la domenica ascolta alla radio come va la partita del Livorno: difficile che l’abbia fatto dal ’72 al 2002, quando gli amaranto sono nel purgatorio della serie C o perfino nell’inferno dell’Eccellenza (’91). Ma, partita o no, è vero che anche negli anni in cui era al timone della Banca d’Italia Ciampi ha fatto spesso capolino nella casa del fratello in via Bonamici.

Ma non rinuncia a fare un salto nella “sua” Livorno anche dopo, negli anni in cui è capo dello Stato: nove volte, e spesso senza tanti fronzoli.

Come quando il 2 novembre 2002, poco prima del tocco, sul viale Italia lo vedono a passeggio in loden, sotto braccio la first lady Franca. Come un marito e una moglie qualsiasi: tant’è vero che non se ne accorge quasi nessuno mentre se ne va dalla Terrazza a San Jacopo. È il Giorno dei Morti e va a mettere un fiore sulla tomba del fratello (e a rifarsi rifare gli occhiali nel negozio del nipote).

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E’ a Livorno () che inizia il tour delle sue visite ufficiali da presidente della Repubblica, subito dopo essersi insediato al Quirinale, ed è qui che lo conclude, poco prima di lasciare la massima carica istituzionale del Paese (mentre il Paese, spaccato in due dalle anomalie del bipolarismo made in Italy, gli chiede il bis e lui replica che non è il caso).

In mezzo c’è l’amarcord per Nicola Badaloni: quel giorno di dieci anni fa in Comune per consegnare la Livornina a lui, a Furio Diaz e a Elio Toaff; nel 2006, poi, a Villa Fabbricotti l’intitolazione di un’aula al prof di cui era stato collega come insegnante (un mestiere al quale, a quanto si racconta, il giovane Ciampi si sentiva particolarmente portato prima di vincere il concorso come impiegato alla Banca d’Italia).

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In mezzo c’è anche la visita al Tirreno, accolto da Carlo Caracciolo, presidente del Gruppo Espresso, e dall’allora direttore del nostro giornale, Sandra Bonsanti, insieme a giornalisti e tipografi. L’abbraccio più forte è per il fotografo Luciano Ciriello: lui e Ciampi si conoscono da una vita, Ciriello da giovane era andato a farsi le ossa nel negozio di babbo Ciampi…

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In quello stesso giorno del 2002 Carlo Azeglio Ciampi scende in campo con tutto il proprio peso politico per disegnare il futuro della città: alla stazione marittima, insieme a Ciampi, c’era l’eurocommissaria Loyola de Palacio, in ballo il decollo delle “autostrade del mare”. Accadrà qualcosa del genere anche per il Cantiere Orlando in crisi: ne ha seguito la trasformazione da fabbrica di navi-cisterna a porto turistico e azienda di yacht.

Proprio al Cantiere era arrivato da premier nel ’98 per  tagliare il nastro del nuovo scalo Morosini: simbolo di una stagione del Cantiere-coop troppo breve. “Sono livornese e me ne vanto”, aveva detto ricordando la frase con cui da giovane si presentava agli amici.

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