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Alluvioni in Toscana, l'Autorità di bacino: «Mappe delle aree a rischio non aggiornate». Lo strumento e perché è importante

di Alessandro Pattume
Nella foto in alto a destra una zona alluvionata lo scorso  anno e a destra Gaia Checcucci
Nella foto in alto a destra una zona alluvionata lo scorso anno e a destra Gaia Checcucci

Il punto sul piano di gestione contro le esondazioni col segretario Gaia Checcucci: «Manca anche lo stato dei fiumi tombati chiesto dal ministro nell’estate scorsa»

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FIRENZE. Un anno dall’alluvione della Toscana centrale, con in mezzo altre tragedie analoghe in tutta Italia fino alle recenti devastazioni spagnole. Cosa dobbiamo fare per non essere più sorpresi e danneggiati da fenomeni eccezionali che sembrano maturare la frequenza della normalità? «La parola d’ordine deve essere prevenzione e per farla serve un grande patto che coinvolga tutti, nessuno escluso - dice Gaia Checcucci, segretario dell’Autorità di Bacino distrettuale per l’appennino settentrionale - siamo davanti a qualcosa di normalmente straordinario: è un problema nostro, di come lasceremo il territorio alle generazioni future».

La posta in palio

Il piano di gestione del rischio alluvioni è lo strumento che l’Autorità di Bacino tiene aggiornato sui rischi di alluvione e sulle misure per attenuare le conseguenze di quelle future. Uno strumento che dovrebbe guidare le scelte e lo sviluppo del territorio ma sembra rimanere sullo sfondo della considerazione di Comuni e Regioni. «Le mappe del rischio non nascono ora, c’erano anche prima - dice Checcucci - senza stare a dire cosa si doveva fare prima e non si è fatto, diciamo che le indicazioni a volte vengono raggirate dal dettaglio di norme regionali e comunali urbanistiche e che gli stessi piani di protezione civile, che gestiscono il rischio, non sono aggiornati e coerenti coi nostri piani, altrimenti non staremmo a parlare di tombature e manutenzioni, opere preziosissime ma che devono andare di pari passo con la prevenzione, cioè con quell’attività che cerca di proteggere le future generazioni. Tanto meno si investe in prevenzione - conclude - tanto più dovremo gestire questi eventi con la protezione civile, con tutto ciò che ne consegue anche in termini di costi».

Una fotografia che cambia

«Faccio un esempio - prosegue Checcucci - il Trascellere tombato in Val di Bisenzio o gli argini pensili nella zona industriale dell’Agna ci dovevano stare lì? È una domanda retorica. La mappatura del rischio è una fotografia che cambia nel tempo e c’è bisogno che tutti facciano di più: bisogna superare le preoccupazioni che possono arrivare da un documento che ci dice che siamo in un'area altamente pericolosa. Dev’essere presa come un’opportunità e uno strumento di conoscenza che deve essere declinato a livello regionale, urbanistico ed edilizio - continua - Per questo motivo si chiama gestione e non rimozione del rischio. Mettiamoci intorno a un tavolo - conclude - e troviamo un modo per affrontare i problemi». Come? In modo puntuale, caso per caso, e con la manutenzione. «Dove non è possibile fare opere strutturali dobbiamo intervenire caso per caso perché l’acqua va aiutata a defluire: tenendo pulito sempre, per cominciare. Ma se io ho un’area industriale che dà lavoro a cento famiglie cerco di metterla in sicurezza come posso, quindi faccio un piano di protezione civile mirato. Le cose da fare sono tante - conclude - c’è bisogno di tutti e c’è bisogno che vengano rispettate le competenze di tutti».

Un territorio fragile

L’Autorità sarà chiamata all’aggiornamento della mappa delle aree a potenziale rischio significativo. Aree destinate ad aumentare nel numero dopo l’ultimo anno per una mappa che ha anche una funzione di prevenzione. Ma se si va a guardare i dati sul sito dell’ente i più recenti mancano all’appello. Così come manca un aggiornamento dei fiumi tombati chiesto dal ministro Musumeci l’estate scorsa. A fornire i dati, in entrambi i casi, dovrebbero essere i Comuni e le Regioni. «È la mappa che ci serve per tenere conto degli eventi alluvionali passati e per definire le nuove aree di rischio e le alluvioni future - spiega Checcucci - per questo il ministro ha chiesto il censimento dei fiumi tombati, perché sono stati individuati come nuovi elementi di rischio. Sul nostro reticolo per il momento ne abbiamo censiti solo 430 chilometri. Non sono nulla, sono solo quelli noti. Qualche volta ho fatto la Cassandra ma il nostro è un territorio fragilissimo - conclude Gaia Checcucci - mi piacerebbe che quando non ci saremo più, venisse ricordato il momento in cui la nostra regione è diventata campionessa di prevenzione».
 

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