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Truffe delle ditte in Toscana, come funziona il meccanismo "apri e chiudi" e come guadagnavano milioni

di Matteo Leoni
Truffe delle ditte in Toscana, come funziona il meccanismo "apri e chiudi" e come guadagnavano milioni

Si apre la società, s'intesta a un prestanome, si accumulano debiti e si chiude. E poi si riparte: coinvolti 35 imprenditori e numerosi consulenti fiscali

03 luglio 2024
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EMPOLI. Un rodato sistema per e . Era quello messo a punto da decine di imprenditori di origine cinese attivi nei distretti tessili di Empoli e Firenze, grazie all’aiuto di una serie di consulenti fiscali, tutti italiani e per lo più riconducibili a tre studi con sede nel territorio dell’Empolese.

Ieri la procura della Repubblica di Firenze, nell’ambito di un’indagine condotta dai militari del Comando provinciale della guardia di finanza di Firenze a contrasto del fenomeno delle imprese “apri e chiudi”, ha dato esecuzione a tre ordinanze di applicazione delle misure cautelari personali e patrimoniali nei confronti di altrettante associazioni a delinquere finalizzate alla commissione di reati tributari (sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte), fallimentari (bancarotta fraudolenta) e, in due casi, in materia di disciplina dell’immigrazione (favoreggiamento della regolarizzazione di soggetti presenti illegalmente sul territorio nazionale e produzione di documenti falsi ai fini del rinnovo dei permessi di soggiorno).

I provvedimenti cautelari riguardano 47 persone, di cui 33 agli arresti domiciliari, una all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e 13 all’obbligo di dimora. I destinatari delle misure sono 4 consulenti fiscali, 8 loro dipendenti e 35 imprenditori di nazionalità cinese operanti nel distretto del tessile, abbigliamento e calzature empolese-fiorentino. Disposto anche il sequestro preventivo di beni nella disponibilità degli indagati per un valore complessivo di oltre 30 milioni di euro, per equivalente della imposte non versate. Perquisizioni sono state eseguite nelle aziende finite nel mirino delle fiamme gialle e negli studi professionali.

Gli imprenditori cinesi destinatari delle misure sono considerati dalla procura i titolari di fatto delle aziende, che, attraverso il meccanismo “apri e chiudi”, si sottraevano sistematicamente e su ampia scala al pagamento delle imposte.

L’attività investigativa ha consentito alla procura di promuovere istanza di fallimento nei confronti di 20 imprese, di cui 18 dichiarate fallite per i rilevanti debiti erariali accumulati negli anni, quantificati in oltre 10 milioni di euro. Complessivamente, nell’inchiesta, sono coinvolte 288 persone di origine cinese, tra cui 253 “teste di legno” e 35 amministratori di fatto delle società. Coinvolte 284 ditte individuali e 4 società a responsabilità limitata unipersonale.

Le indagini sono scattate a seguito della constatazione di molteplici irregolarità tributarie e violazioni alla legislazione sociale e del lavoro commesse attraverso la costituzione di imprese fittizie, la falsa assunzione di dipendenti e il mancato versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. «Il tutto – precisa la procura in una nota – sotto la sapiente regia degli stessi commercialisti tenutari delle scritture contabili e incaricati della trasmissione telematica delle dichiarazioni fiscali, ove presentate, nonché di un consulente del lavoro». Dalle verifiche dell’Agenzia delle Entrate, è emerso che le aziende finite al centro dell’inchiesta avevano quasi tutte un debito con l’Erario di centinaia di migliaia di euro. In un caso, quello di una ditta individuale, fino a 10 milioni di euro.

Le ditte apri e chiudi: come funziona

Gli accertamenti condotti dalle fiamme gialle fiorentine hanno permesso di svelare la presenza sul territorio di tre distinte associazioni a delinquere finalizzate alla frode fiscale. In tutti i casi, il meccanismo di frode era sempre lo stesso, quello delle ditte “apri e chiudi”: gli imprenditori di nazionalità cinese svolgevano l’attività di vendita o di produzione di capi di abbigliamento e calzature, avvalendosi di una o più società e ditte individuali – tutte dalla vita breve – ad altri intestate ma da loro stessi gestite in via di fatto; quando le imprese maturavano consistenti debiti verso l’Erario, venivano chiuse dagli effettivi titolari, che proseguivano la propria attività imprenditoriale avviando nuove aziende, anch’esse intestate formalmente a un prestanome, negli stessi luoghi e con gli stessi dipendenti e i medesimi macchinari delle precedenti.

In questo modo, in tale contesto, mentre l’Erario perdeva la possibilità concreta di far valere i propri crediti nei confronti delle “teste di legno”, spesso irreperibili o comunque nullatenenti, i reali imprenditori proseguivano la propria attività produttiva, evitando di sostenere i costi relativi alle imposte e massimizzando conseguentemente i loro profitti. La realizzazione del meccanismo fraudolento era resa possibile grazie al fondamentale apporto tecnico di consulenti fiscali o del lavoro: attratti dal ritorno economico derivante dall’elevatissimo numero di clienti, garantivano loro una costante assistenza, «nella piena consapevolezza – spiega la procura – dell’esposizione debitoria delle imprese, suggerendo i percorsi da seguire per attuare la chiusura e l’apertura delle ditte e curando, a tal fine, la predisposizione dei necessari atti e documenti fiscali». Sempre in base alle indagini, alcuni consulenti del lavoro e cinque imprenditori cinesi avrebbero anche favorito l’ingresso irregolare in Italia di tre migranti e prodotto falsa documentazioni per il rinnovo del permesso di soggiorno per 72 cittadini stranieri.
 

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