Il Tirreno

A Cecina

Dario Ballantini e il suo omaggio a Petrolini, padre della comicità

di Federica Lessi
Dario Ballantini e il suo omaggio a Petrolini, padre della comicità

I 40 anni di carriera dell’artista livornese

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CECINA. Quando veste i panni di un personaggio famoso si sente un supereroe comico, e diventa più vero dell’originale. Dario Ballantini, l’artista livornese famoso per le sue imitazioni a Striscia la Notizia – da Valentino a Gianni Morandi e Gino Paoli, a politici come Ignazio La Russa e personaggi del jet set come Luca Cordero di Montezemolo – arriva al De Filippo questa sera alle 21 con il suo ultimo spettacolo “Ballantini e Petrolini”. Un omaggio al padre della comicità, che l’imitatore porta in scena interpretando sette suoi famosi personaggi, da Amleto a Nerone, da Fortunello e Gastone, in una galleria di ritratti che parlano al presente.

Petrolini è un suo cavallo di battaglia, perché questa scelta?

«L’ho sempre seguito, ammirato e studiato fin da ragazzo, negli spettacoli che facevo sui vent’anni lo inserivo anche se non era richiesto. Ha ispirato tanti comici come Proietti e Montesano, quando ho capito che avevano preso spunto da lui ho pensato fosse un simbolo da inserire in uno spettacolo. Ne avevo preparato uno circa 25 anni fa, ora l’ho ripreso con una veste nuova: interpreto ogni suo personaggio proprio come li faceva Petrolini, la sensazione è di avere lui in scena».

Dove sta la sua genialità?

«Era un autodidatta, ha creato parodie e scioglilingua, si è formato in strada con il vocabolario per studiare la lingua, ha anticipato i futuristi e ha gettato le basi della comicità. Per esempio ha creato i tormentoni che i comici usano ancora oggi. L’altro aspetto che mi ha affascinato è la sua capacità di mescolare la comicità al macabro. I suoi personaggi sono grotteschi e inquietanti e ad inizio carriera avevo difficoltà con questa eredità macabra, che ho superato grazie alle imitazioni di strada».

Petrolini fu anche un convinto sostenitore del fascismo.

«Tocco questo aspetto controverso, perché ha aderito di sicuro ma è morto giovane, prima che scoppiasse la guerra. Faceva satira sul duce e lo mandavano a controllare perché avevano capito che era eccessivo, per esempio quando faceva Nerone. Ma all’estero era già un artista famoso e al regime conveniva dargli peso. Fu premiato con una medaglietta del duce, mentre si aspettava un’onorificenza. Allora disse “me ne fregio”».

Lei come apparirà al pubblico?

«Mi cambio direttamente in scena, un tratto che è diventato un mio marchio di fabbrica. Ho deciso di mettere il camerino girato verso il pubblico, voglio che si veda come avviene la trasformazione da un personaggio all’altro. Rispetto per esempio a Brachetti, che si cambia dietro un paravento e non capisci come fa, nel mio caso si vede quello che faccio. In uno spezzone mostriamo anche Petrolini che si cambia e quest’operazione con le luci rivolte verso il pubblico ha un suo fascino».

Come inizia la sua carriera di attore?

«Parte dall’imprinting della mia infanzia, mio nonno era un attore fallito e a noi nipoti ci ha invogliati a seguire il teatro, ci ha raccontato fatti di grandi attori compreso Petrolini. Inizia quindi dai racconti casalinghi di un teatro agli albori, con questi fenomeni del palcoscenico».

Quest’anno festeggia 40 anni di carriera.

«Ho iniziato a 18 anni, ore ne ho 58. Il debutto fu come imitatore in una trasmissione di Corrado nel 1983. Dietro le quinte stavo per entrare e mi ricordo una scena felliniana: davanti i lustrini, dietro le assi di legno, con me c’era Sandra Mondaini vestita da Sbirulino che mi disse “sei emozionato? ”. Si era inventata in modo geniale questo pagliaccio donna, e io ho avuto questo regalo per la mia prima volta».

In questi decenni molti suoi personaggi sono diventati iconici.

«A Striscia ne ho fatti una sessantina. Valentino è iniziato a gennaio 1998 e durato 10 anni pieni, poi ci sono stati Morandi, Montezemolo, Paoli. Sono diventati personaggi viventi, dei doppi rispetto agli originali. Se si pensa che quando imito La Russa in strada molti politici mi rivolgono la parola, si capisce la sfida. Il doppio lo uso tanto, come con i “faccia a faccia”: davanti a me travestito c’è il vero personaggio. “Il vero all’apparizione del doppio si suicida” disse Antonio Ricci. Infatti mi dicono spesso che è più vero il finto dell’autentico o “sei più di lui”. Mi immedesimo al punto da pensare come il personaggio ed è come se gli rubassi l’anima».

Cosa significa stare nei panni di un altro?

«A me piace scomparire proprio, tanti comici fanno imitazioni che sono evidenti, a me invece piace sparire. È una cosa che fa stupore e mi piace meravigliare, ma è una specie di ipnosi, in quel momento vivendo nei panni di un altro stacco un attimo e riposo la parte mia. Con Valentino mi sentivo un po’come l’uomo ragno perché facevo divertire la gente, ero un supereroe comico».

È in giro anche con lo spettacolo su Dalla, ideato nel 2014.

«Lucio non era solo diventato un amico ma anche un sostenitore della mia pittura. Per la mostra dei venticinque anni ha cantato per me, la sua famiglia mi sta adottando per gli spettacoli, è un collegamento che non ha fine. Quest’anno ho fatto tre date, vorrei farne anche una versione jazz».

È sempre attivo pure come artista visivo.

«Avevo iniziato già nel 1985, tra l’altro con un ritratto di Pasolini che mi tengo ancora stretto. Quest’anno ho fatto una mostra a Roma dove è venuto Achille Bonito Oliva e un mese dopo a Piacenza dove è venuto Vittorio Sgarbi: due critici di grande calibro. Sgarbi mi conosceva ma ora ha detto qualcosa del tipo “pensavo che per gioco facesse l’artista e per mestiere l’attore, invece gioca quando fa l’attore ed è un artista”».


 

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