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Calcio: Serie B

Pisa, trasformarla in un’occasione seguendo la lezione di Hesse: l’analisi del momento nerazzurro

di David Biuzzi

	La Curva nord del Pisa (foto Muzzi)
La Curva nord del Pisa (foto Muzzi)

Quello con il Cosenza è un pari che brucia, ma non deve cancellare tutto: ecco perché

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PISA. Partiamo da un dato di fatto che non è per niente banale: se il campionato finisse oggi il Pisa sarebbe in paradiso. Sì, in Serie A.

Ogni ragionamento sui nerazzurri deve partire da qui, perché racconta quello che Pippo Inzaghi e i suoi giovanotti sono riusciti a combinare finora. I 31 punti finora portati a casa non solo rappresentano un ottimo bottino ma fotografano l’andamento di una squadra che, senza se e senza ma, è andata anche al di là delle più rosee aspettative per quantità (di fatturato) e qualità (di gioco). Detto questo, il pareggio contro il Cosenza brucia e neanche poco. Somiglia più a una sconfitta, stavolta, perché è arrivato sui titoli di coda, proprio come il ko di Carrara, ma soprattutto per come è arrivato. Già. La partita ha raccontato un’altra storia. Il Pisa ne è stato padrone per larghi tratti anche se, purtroppo, non fino alla fine. E lo aveva fatto, la squadra, dimostrando che il grido di battaglia scelto da Inzaghi alla vigilia («Siamo più forti delle assenze») non era solo uno slogan, una frase fatta. La clamorosa (e splendida) prodezza pescata da Fumagalli all’inizio del recupero ha cambiato la cosa più importante, il risultato, ma non cancella in un colpo solo (per quanto bello) tutto quello che era successo prima. Nel bene e nel male. Ovvero che i nerazzurri hanno fatto di più e meglio di chi avevano di fronte, costruendo tanto e concedendo poco (finale incluso).

La pecca, perché qualcosa di storto ovviamente c’è stato, è aver gettato alle ortiche la vittoria sprecando tanto, troppo. Il rigore che Marin si è calciato addosso, proprio come fece Pohjanpalo del Venezia sullo stesso dischetto pochi mesi fa, è l’episodio da copertina ma non il solo. Tante, infatti, sono state le ripartenze non sfruttate, più ancora quelle gestite e quindi impostate male. Ecco, nel finale è mancata la lucidità per gestire al meglio una situazione che al meglio si era messa. Per meriti propri e non per grazie ricevuta. Non che il Cosenza abbia creato chissà cosa, ma lasciare il risultato in bilico e permettere ai calabresi di guadagnare progressivamente metri di campo ha prodotto uno stato delle cose in cui un semplice episodio, prodezza altrui o errore proprio, sarebbe bastato (come, purtroppo, è successo) a far saltare il banco e buttare via una vittoria già conquistata.

Non è la prima volta che accade (vedi Carrara, appunto) e da questo punto di vista è lecito attendersi passi avanti in futuro. Una beffa così, d’altra parte, a qualcosa deve pur servire. D’altra parte, come insegna lo scrittore svizzero Herman Hesse (premio Nobel per la letteratura nel 1946), i dolori, le delusioni e la malinconia non sono fatti per renderci scontenti e toglierci valore e dignità ma per maturarci.

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