Il Tirreno

L’intervista

Sanremo, Lucio Corsi e la super chitarra Wandrè: perché è mitica e come nasce l’idea di usarla per la “finale”

di Chiara Cabassa

	Lucio Corsi e la chitarra Wandrè
Lucio Corsi e la chitarra Wandrè

Marco Ballestri, scrittore e curatore di mostre, racconta com’è nata la scelta del menestrello di Vetulonia

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SANREMO. Alla collana Tiffany ha preferito una chitarra Wandrè. Quel Wandrè che ha realizzato l’unica chitarra elettrica usata da Guccini, la prima di Celentano, quelle più care ai Nomadi. E da aggiungere a una lunga lista, ora, anche quella con cui il marziano Lucio Corsi si è aggiudicato il secondo posto al 75° Festival di Sanremo.

«Stasera mi vesto chitarra Wandrè – scriveva sabato sera sui suoi profili social Lucio – . Per l’ultima notte all’Ariston serviva tirare fuori Excalibur dalla custodia». Citando poi le parole di Guccini sul liutaio partigiano: «Wandrè! Chi era costui? Mi raccontano che faceva chitarre, ma non chitarre come hanno da essere le chitarre, piuttosto oggetti dotati di anima propria, ribelli, addirittura pericolose».

Non nasconde la soddisfazione Marco Ballestri, medico modenese, da sempre nel gruppo di appassionati Partigiani di Wandrè, curatore di numerose mostre e autore del prezioso volume “L’artista della chitarra elettrica” (Anniversary Books) nel quale viene racconta la biografia di Antonio “Wandrè” Pioli. Ad emergere il ritratto di un uomo libero che ha sempre sfidato il proprio tempo.

A Wandrè sarebbe piaciuto Lucio Corsi?

«Assolutamente sì. Ho conosciuto Lucio due anni fa, grazie alla comune amicizia con Filippo Graziani, al Maledette Malelingue Festival a Novafeltria. Ora con Sanremo è stato scoperto dal grande pubblico, ma alle spalle ha quattro album uno più bello dell’altro. A Wandrè sarebbe piaciuto perché è una persona umile, con una cultura e incredibile, un’immensa creatività. Musicalmente ama il prog e anche dal punto di vista scenico le chitarre di Wandrè sono in sintonia con il suo modo di proporsi sul palcoscenico. Non dimentichiamoci che Lucio è stato l’unico tra i big a non volere uno stilista che lo vestisse, è abituato da sempre a fare tutto da solo. Nei suoi concerti cura scene, costumi e coreografie».

Non mancano le somiglianze...

«A unirli è sicuramente l’anticonformismo. La sua rivoluzione psichedelica, Wandrè l’aveva fatta dieci anni prima della Summer of Love californiana. L’ultimo suo modello di chitarra, Psychedelic Sound, lo aveva presentato nell’aprile del 1967. Wandrè pensò che in un momento in cui si rincorreva l’originalità e ognuno si sforzava di realizzare opere bizzarre, la cosa più rivoluzionaria da fare fosse ritornare alle origini. Per il suo ultimo modello recuperò quindi tecniche proprie della liuteria classica».

L’idea di Lucio di utilizzare una chitarra Wandrè a Sanremo come nasce?

«In realtà si pensava di utilizzare diverse chitarre nelle serate del Festival. Ma mancavano gli spazi, i tempi erano stretti, quindi Lucio ha deciso per l’ultima serata di utilizzare una “Rock Oval” del 1958 che richiama i dischi volanti, i film di fantascienza, uno spirito visionario. Tommy (Tommaso Ottomano, ndr) che ha accompagnato Lucio, nella serata delle cover suonava invece una “Soloist” del 1963. Purtroppo, dovendo dare visibilità a Topo Gigio, la chitarra Wandrè è rimasta un po’oscurata».

Da Bob Dylan a Frank Zappa, da Peter Holmostrom dei Dandy Warhol a Buddy Miller ai Pearl Jam. Sono solo alcuni dei mitici nomi che adorano le chitarre Wandrè. Più famose nel mondo che dove sono nate. Ma ieri anche a Cavriago l’affetto per Wandrè si è fatto sentire.

«Grazie a Marco Ballestri – si legge in un post su Fb della sindaca Francesca Bedogni – e a tutti i partigiani di Wandrè per avercela portata e a Lucio Corsi per averla “fatta sua”».. 

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