Calcio: Serie B
Quel treno fin dentro l’anima: 15 anni fa la strage di Viareggio, le tappe della marcia per avere verità
Parla Daniela Rombi, che nella disgrazia ha perso la figlia: «La città non ci ha mai lasciato soli»
VIAREGGIO. È la sera di un inizio d’estate lento quella del 29 giugno 2009 a Viareggio, quando un treno carico di Gpl – ben 14 cisterne – deraglia poco prima di mezzanotte entrando in stazione. Una delle cisterne si rovescia sui binari e viene squarciata. Una nuvola azzurrina di gas si insinua fino alle case di via Ponchielli e via Porta Pietrasanta, quartiere Terminetto, e si trasforma in fuoco, distruzione, macerie, lutti, ferite da ustioni indelebili. Meno di un anno dopo, il 24 aprile 2010, i familiari delle vittime che hanno perso mogli, figli/e, fratelli, sorelle, nipoti sono riuniti al Centro congressi di Viareggio per dare vita a una associazione che li tenga insieme. Come accade, ormai, da 15 anni. Daniela Rombi, che nella strage di Viareggio ha perso la figlia Emanuela Menichetti, 21 anni, 40 giorni di agonia per le ustioni riportate, ne è stata la prima presidente. Poi il ruolo è passato a Marco Piagentini, rimasto mesi tra la vita e la morte mentre la sua famiglia e quella della moglie, Stefania Maccioni, piangevano la morte della donna e di due dei figli, Luca e Lorenzo, di 5 e 2 anni. Ora Rombi è tornata alla guida dell’associazione in un 15esimo anniversario che ha ancora il sapore amaro dell’attesa, quella per le motivazioni della sentenza-bis di Cassazione.
Neppure un anno dalla strage, l’ultima vittima morta alla vigilia di Natale 2009: cosa vi portò al Centro congressi?
«Più di una persona mi aveva spiegato quanto fosse importante che noi familiari delle vittime ci unissimo. Io non capivo. Poi, il 17 gennaio 2010, ci fu l’incontro in Comune con i procuratori: Aldo Cicala che dirigeva la procura di Lucca e Beniamino Deidda, procuratore capo della Toscana. Mauro Moretti, all’epoca amministratore delegato delle Ferrovie, aveva affermato che non avrebbe attivato le loro assicurazioni perché non era colpa di Ferrovie quello che era accaduto. Io presi la parola per la prima volta in pubblico e dissi: “se mi casca uno in casa perché ho una mattonella rotta, io sono responsabile perché è casa mia”. Era così evidente, nel mio dolore di madre di una figlia persa. Quello è il giorno che ha dato vita a tutto. Al cimitero, poi, incontrai la madre di Stefania Maccioni, moglie di Piagentini. Mi disse che il figlio Andrea era arrabbiato e non sapeva cosa fare. E io chiesi se potevo andare a trovarlo. Andrea aveva fatto un manifesto con il suo numero di telefono. Mi sembrò una cosa così bella, così grande. Quando lo incontrai, capii che aveva la stessa rabbia mia, una rabbia che non è ancora passata. Abbiamo iniziato a sentirci, a vederci. A quel punto volevo sapere cosa era successo. Volevo sapere perché mia figlia era morta. L’avevo promesso a lei ma, man mano, è diventata una responsabilità civile, che riguardava tutta Viareggio».
E non vi siete più fermati: 15 anni in strada, Viareggio sempre con voi.
«Siamo andati dappertutto. A Lovere per l’incidente probatorio, tre volte a Bruxelles, abbiamo incontrato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Papa. Abbiamo seguito tutte le udienze, dal primo grado alla Cassazione-bis. Siamo stati più e più volte a Roma, a L’Aquila per gli anniversari del terremoto, a Genova per il crollo del ponte Morandi, a Torino, al fianco delle madri delle vittime del rogo della Thyssen. Non abbiamo accettato i soldi dei risarcimenti perché era l’unico modo per arrivare alla verità e a uno straccio di giustizia. Non ci ha fermato neppure sentirci dire che non era la maniera di fare perché le mamme che hanno perso un figlio devono stare a casa a piangere. I difensori degli imputati di Ferrovie hanno sostenuto che il presidente del processo di primo grado sarebbe stato influenzato dalla mobilitazione. Viareggio ha abbracciato le famiglie delle vittime che sono la sua gente. Noi viareggini abbiamo questa specialità: saper accogliere, abbracciare, accompagnare. Ho chiesto aiuto e solidarietà, ma l’ho fatto perché sapevo che l’avrei ricevuta. Abbiamo bisogno di loro».
Il 9 settembre 2011, Festa dell’Unità a Genova, faccia a faccia con Moretti. La foto è di quelle che non si dimenticano. Cosa vi siete detti?
«Tutto quello che c’era da dirsi è in quello sguardo. Poche parole, molto precise. Io dico “Noi vogliamo la verità”. Lui risponde: “Anche noi. Sono passato indenne da 53 procedimenti”. Io rispondo: “da Viareggio no”. E non è passato indenne. La durezza di quella foto è tutta in quelle parole».