Calcio: Serie B
Galanda, Chiacig, Soragna e l'argento dell'Italbasket ad Atene 2004: «Così è nata quell’impresa»
Tre dei protagonisti dell’avventura greca si sono trovati alla Fortezza 59, a Pistoia, per raccontare aneddoti e segreti:«Eravamo un gruppo. Ancora oggi i tifosi ci fermano per strada»
PISTOIA «Prima partita di quell’Olimpiade, contro la Nuova Zelanda. Ci svegliamo prestissimo, facciamo colazione e partiamo, ci volevano circa 45 minuti per arrivare al palazzetto. In pullman eravamo tesi per l’esordio, c’era silenzio, ad un certo punto “Bullo” (al secolo Massimo Bulleri, ndr) dice: “Chi se la sta facendo sotto metta il dito sotto la mia mano”. Lo facemmo tutti. Lì ho realizzato che non ero l’unico ad aver paura, quella consapevolezza ci ha dato un’energia e una tranquillità che ci siamo portati dietro per tutto il torneo».
La voce è quella di Matteo Soragna, oggi volto della redazione basket di Sky Sport e ieri tra «quegli scappati di casa», per dirla alla Gianmarco Pozzecco oggi commissario tecnico, che ad Atene 2004 portarono l’Italia a vincere l’argento olimpico, guidati da Charlie Recalcati. Si è trattato del punto più alto raggiunto dall’Italia dei canestri assieme all’argento di Mosca 1980, nonché l’ultimo grande risultato internazionale.
L’incontro
L’aneddoto è uno dei tanti scartati come cioccolatini e raccontati assieme a Giacomo “Gek” Galanda e Roberto Chiacig (detto Ghiaccio o Ghiaccione, ndr) , altri due di quei protagonisti e con trascorsi importanti in Toscana (Siena e Pistoia il primo, Montecatini, Siena e Livorno il secondo, ma anche Soragna è passato da Pistoia in gioventù), nella serata dedicata al ventennale da quell’impresa che si è svolta alla Fortezza 59, a Pistoia, condotta da Stefano Blois della redazione di Quinto Quarto, canale social che racconta con approfondimenti il basket di Serie B e Serie A2.
A organizzarla, come le precedenti due sulla palla a spicchi pistoiese, l’ex vice allenatore di Chiusi e Luca Civinini, che insieme a Galanda vanta una promozione nella massima serie, nel 2012, con la squadra della sua città.
Aneddoti e segreti
In un salotto impreziosito dalla ricchissima collezione di maglie da gioco azzurre di Giacomo Tozzini, gli ospiti hanno rivissuto il dietro le quinte di quell’emozionante avventura a cinque cerchi. «Ho la fortuna di essere stato capitano di quella spedizione – dice “Gek” Galanda –. Nel 2003 da underdog (sfavoriti) eravamo andati a un canestro dalla finale dell’Europeo e poi arrivammo terzi, perdemmo le prime partite poi svoltammo. È da quelle basi che nacque Atene 2004. Eravamo forti della nostra compattezza come gruppo. Siamo stati di ispirazione e abbiamo ancora la fortuna di essere fermati per strada, significa che abbiamo trasmesso qualcosa di reale, dopo 20 anni è qualcosa che rimane».
«Io a differenza loro non ho ispirato nessuno – scherza Chiacig detto “Ghiaccione” – facevo il lavoro sporco sotto canestro. Rappresentare un Paese è un onore immenso, quando vinci ancora di più». Come in ogni grande squadra erano tutti a loro modo preziosi: le triple ignoranti di Basile, il metronomo Bulleri allora mvp della Serie A, la mosca atomica “Poz” dalla panchina, indispensabile nella semifinale con la Lituania, il cuore e la classe di Galanda, la freddezza e duttilità di Mian, Soragna, Righetti e Rombaldoni, la “legna” di Marconato e Ghiaccio, «lunghi che oggi purtroppo non abbiamo più» commentano gli altri due.
La finale
In finale, quel 28 agosto, ebbe la meglio l’Argentina di Ginobili, che aveva eliminato gli Stati Uniti ma che gli azzurri avevano già battuto nel girone. Eppure più che perdere l’oro, come ha spesso ripetuto coach Recalcati, l’Italia vinse l’argento.
«Non avevamo più forze – ricorda Galanda – giocammo la sera prima e andammo a letto alle 4 di notte». «A volte mi chiedo cosa sarebbe successo se nel 2004 ci fossero stati i social, sarebbe stato tutto ancora più immediato e spettacolare – riflette a voce alta Soragna –. Ad Atene il villaggio olimpico era un intero quartiere, a mensa ti siedi a caso e sei di fianco ai migliori atleti di tutte le nazionalità del mondo. Quel villaggio è sempre vivo, la mensa è aperta per 24 ore. Ho mangiato insalata con pollo grigliato per una settimana, ma ne è valsa la pena».
Soragna, che magari già immaginava il dopo carriera negli studi televisivi, riprese tutto con una delle telecamerine che andavano all’epoca. «Era un modo per creare dei ricordi – dice Chiacig, tra i “cameraman” più attivi e tutt’ora in nazionale over – a casa ho mille cassette. Stavamo insieme per mesi e il gruppo si fortificava anche così». E poi la storica vittoria contro gli Stati Uniti a Colonia nel torneo amichevole prima di quelle Olimpiadi. «Erano venuti tutti per vedere gli Stati Uniti e lo scontro con la Germania di Nowitzki, noi li battemmo tutti arrivando primi» s’inorgoglisce ancora il capitano. La serata è finita solo per prassi, altrimenti sarebbe andata avanti per ore. E quelli che c’erano, tornando a casa, hanno sperato probabilmente tutti la stessa cosa. Che il basket italiano (perché no col contributo del movimento toscano) possa un giorno tornare a regalarci un’emozione simile a quella vissuta grazie a quegli “scappati di casa”. l
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