Prato, lo “Strike Day” apre una breccia nel sistema dello sfruttamento
Il sindacato Sudd Cobas ha già chiuso tre accordi su 5 ditte “picchettate”: «Sembrava impossibile, in realtà è perché nessuno ci aveva provato»
PRATO. Non ci speravano nemmeno loro, i sindacalisti del Sudd Cobas e gli operai pachistani che lavorano per i cinesi. E invece lo “Strike Day” sembra aver fatto breccia in tempi rapidissimi nel sistema di sfruttamento che connota molte piccole aziende del cosiddetto “distretto parallelo” di Prato.
Erano cinque le ditte prese di mira dal Sudd Cobas quando ha annunciato la giornata dello sciopero e in 48 ore sono già stati chiusi tre accordi per la regolarizzazione dei lavoratori, mentre per oggi è fissato un incontro coi titolari della quarta azienda e prosegue il picchetto davanti alla confezione Lin di Seano, in via Galilei, l’unica che finora non ha mostrato segni di cedimento.
Gli accordi per la giornata di 8 ore, cinque giorni la settimana, sono stati chiusi con l’azienda Zipper di Seano, la tessitura Sofia di Montemurlo e la stireria Tang di Prato. Oggi se ne ragiona con la 3 Desy di via dei Palli a Prato, dove il picchetto è stato sospeso. Un risultato inimmaginabile alla vigilia.
«L’obiettivo era sindacalizzare l’insindacalizzabile e portare la lotta 8x5 nella giungla dei laboratori del supersfruttamento del “made in Italy” – commenta ora il Sudd Cobas – Da questo punto di vista lo Strike Day è già stato un successo. Per anni si è pensato che qui il sindacato non potesse entrare. La realtà è che nessuno ci aveva provato. Non sono gli operai ad essere distanti dal sindacato. È il sindacato che da almeno due decenni è lontano dagli operai e dalle fabbriche, rinunciando ad essere lì dove ce ne è più bisogno. Dove prima di sedersi ai tavoli c’è bisogno di passare le notti davanti ai cancelli».
Ma all’orizzonte si profila un problema, legato proprio al metodo che si è rivelato efficace. «Lo Strike Day è riuscito a raggiungere l'obiettivo di riportare i diritti dove c'era supersfruttamento percéè ha messo in campo uno sciopero efficace, articolato con picchetti e blocchi delle merci in entrata ed in uscita degli stabilimenti – avverte il Sudd Cobas – Queste forme di lotta sono quelle finite nel mirino del nuovo Decreto Sicurezza (DL 1660), che rende reato il blocco stradale ed ogni forma di dissenso pacifica. Nel recente discorso del ministro Piantedosi si vantava di aver messo in piedi uno strumento diretto contro questa possibilità per i lavoratori di affermare i propri diritti. Il DL 1660 è un abominio antidemocratico e va bloccato. Il nostro paese ha bisogno di misure di contrasto al lavoro nero ed allo sfruttamento, non di criminalizzare il diritto di sciopero ed al dissenso».
Per ora si ribellano solo gli operai pachistani, ma secondo il Sudd Cobas non sarà sempre così. «Qualche anno fa nessuno avrebbe previsto che i lavoratori pachistani di questo distretto sarebbero diventati i protagonisti di scioperi ad oltranza e picchetti duri ai cancelli – sostiene il sindacato – E non è vero oggi che agli operai cinesi “va bene così”. Ribellarsi allo sfruttamento, in questo contesto vuol dire ribellarsi a caporali che controllano tutta la tua vita mentre le leggi sui permessi di soggiorno spesso ti rendono invisibile e senza diritti. Un giorno la sindacalizzazione coinvolgerà anche i lavoratori cinesi, ne siamo sicuri. Perché abbiamo già visto tante volte l'impossibile trasformarsi in realtà. E a quel punto montagne di analisi sociologiche sull'“autosfruttamento” degli operai cinesi verranno finalmente bollate per quello che sono sempre state: baggianate».