Mobilgronchi, l’epopea della Juventus di provincia
Il patron Silverio, mister Puccini, Lupo, Liviano, Disturbo, Aldo e capitan Maurino: ecco l’avvincente romanzo di Riccardo Bartoletti
«Non mi interessa andare a giocare per una squadra qualsiasi. Io voglio una squadra tutta mia». Più che una frase, una scintilla. È così che Silverio Gronchi, il mobiliere arrivato da Cascina con una passione furente per il pallone, conquistò quei ragazzacci piombinesi che poco prima lo avevano aiutato a cambiare la gomma bucata del furgoncino. «Giochiamo insieme, possiamo vincere», disse puntando il suo sguardo azzurro e affilato contro di loro per convincerli a calzare gli scarpini e a indossare la stessa casacca.
La storia sportiva
Siamo a Salivoli. Anni Settanta. La città era diversa da oggi. E il calcio era il pane quotidiano dei giovani e meno giovani. Si giocava in strada, nei campetti che una volta popolavano la città, si giocava al Vallone, dietro il cimitero.
È in questo contesto che, dopo un sorso di aperitivo, è nato il mito del Mobilgronchi, la piccola Juventus del calcio di provincia. Un mito, sì. Non c’è alcuna esagerazione in questa definizione. Perché c’è una dimensione epica anche nel pallone che si gioca nei campi di provincia, nei campionati amatoriali. E in quarant’anni di partite, calci ben assestati nei parastinchi, baruffe in campo e negli spogliatoi, gol, svarioni, risate e prese in giro tra compagni e avversari il Mobilgronchi non ha avuto rivali. La squadra di Silverio Gronchi ha vinto campionati con un ritmo superiore a quello tenuto dalla Juventus in Serie A. Con una frequenza direttamente proporzionale solo agli ultimi posti raggiunti nella Coppa Disciplina, ma questa è un’altra storia. Il Mobilgronchi vinceva. Eccome se vinceva. E lo faceva nell’unico modo che conosceva: schierando in campo l’amicizia.
Del resto una delle famigerate cene di squadra nella taverna di casa del Gronchi era più efficace di una serie di ripetute e qualche giro di campo in più. Quelle di Silverio, del mister Puccini, di Lupo, Disturbo, di Maurino il capitano, di Liviano che spaccava le porte, di Dinamo che non si fermava mai, di Aldo Agroppi che nel pieno della sua carriera da allenatore ha vestito quella maglietta, sono piccole grandi storie che meritano di essere raccontate.
Riccardo Bartoletti, figlio di uno dei giocatori storici del Mobilgronchi, le storie di quel manipolo di piombinesi che per 40 anni si sono divertiti nei campi della provincia le ha raccontate in modo avvincente. Prediligendo il romanzo alla nuda cronaca sportiva che è rimasta sullo sfondo, fissata nella memoria da centinaia di articoli pubblicati dal Tirreno. Il cuore di Emmegì è rappresentato dai piombinesi che hanno indossato quella maglia, compresi quelli che non ci sono più.
Emmegì
È uscito in questi giorni nelle piattaforme digitali e in libreria “Emmegì, una storia di calcio, amicizia e passione”, edito dalla casa editrice Blonk. «Quando si incrocia una bella storia – dice l’autore Riccardo Bartoletti, direttore di Matan Teatro e al suo primo romanzo – spesso può sorgere un irresistibile impulso di raccontarla. “Bello” è un aggettivo che vuol dire molte cose e che si presta a fraintendimenti: per me, la parola bella associata alla vicenda narrata in Emmegì – conclude – ha il significato di amicizia, dedizione, anche di ingenuità, certo, ma soprattutto di passione». Emmegì è un libro corale, dove a parlare sono i protagonisti delle vicende narrate che riportano la mente al calcio di provincia e allo spirito degli anni ‘70, arrivando ai giorni nostri. «Questa storia di sport – racconta ancora Bartoletti – ce l'ho avuta nelle orecchie fin da piccolo, perché riguarda anche la mia famiglia, ma non ne avevo mai esplorato le profondità: poi, attraverso articoli di giornale e interviste dirette, mi sono divertito a trasformare le persone protagoniste in personaggi, le vicende in episodi, per creare un mosaico che restituisse ai lettori di ogni età anche solo un pezzetto del sapore corsaro di quelle avventure dentro e fuori il campo, l'epopea sportiva e umana di una squadra di calcio amatoriale che ha vinto come mai nessun'altra e che – conclude Bartoletti – ancora oggi continua a far parlare di sé».
La presentazione
L’appuntamento è fissato per domani (sabato 16) alle 17,30 nella sala conferenze dell’hotel Centrale. Un’occasione da non perdere per chi, dagli anni Settanta e fino al 2010, ha partecipato, apprezzato, seguito e in qualche modo è stato incuriositi dall’epopea sportiva del Mobilgronchi. Riccardo Bartoletti sarà il protagonista dell’incontro pubblico che vedrà la partecipazione di alcuni dei personaggi che hanno fatto parte della squadra. Interverranno il mitico presidente Silverio Gronchi, patron della squadra, Aldo Agroppi, Il Tirreno e il drammaturgo Francesco Tozzi. Si tratterà di sfogliare una delle più belle pagine di sport e amicizia raccontate da questa città, riflettendo su quanto questa esperienza abbia lasciato il segno in chi ne ha fatto parte e quanto sia ancora importante lo sport, praticato anche nei campi di provincia. Perché, nonostante, l’esperienza del Mobilgronchi sia terminata da qualche annetto «ci vuole ancora nerbo», come direbbe mister Enzo Puccini nello spogliatoio prima di una partita importante.
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