75 anni fa le jeep della V Armata Usa fecero l’ingresso in una città ferita
I guastatori della Wehrmacht durante la notte del 24 giugno avevano fatto saltare banchine, pontili e impianti industriali
G. PIERO VACCARO
Apparteniamo a una società in cui le immagini e gli slogan corrono veloci, con i tempi dei social. Le parole, utilizzate a effetto, perdono sempre più spesso la loro importanza e il loro significato profondo. Una di queste parole è “liberazione” .
In una serata di inizio estate di 75 anni fa, 24 giugno 1944, la Cittá di Piombino viveva uno dei momenti piú drammatici della sua storia millenaria. La nostra gente viveva le ultime ore dell’occupazione tedesca, il delicato momento del “passaggio del fronte”.
Ore concitate, in bilico tra il timore di una resistenza a oltranza dei tedeschi e il desiderio e la speranza di vederli andare via, senza combattere.
Le truppe della V Armata Usa, reduci da sanguinosi combattimenti a sud di Massa Marittima e nella zona di Gavorrano, erano ormai prossime all’abitato di Riotorto, lungo la costa, mentre nell’entroterra reparti americani, diretti verso Suvereto, si apprestavano a passare la nottata lungo lo stradone di Montioni.
Molte “fox holes” , le “buche di volpe” in cui dormirono in quelle ore, sono oggi ancora visibili all’occhio attento, qua e là nella foresta.
L’assalto alla città di Piombino e la liberazione della Val di Cornia erano previste per la mattina successiva. Lo stato maggiore della XIV Armata tedesca, in un primo tempo, dette ordine alle unità presenti in città, e in particolare alle batterie costiere, di prepararsi a resistere a oltranza. Fino all’ultimo uomo, fino all’ultima cartuccia. Trasformare Piombino in un campo di battaglia, non cedere di un passo.
Nel corso della nottata, fortunatamente, maturò la decisione di far ritirare le truppe verso nord e furono diramate in dettaglio le disposizioni relative.
Grandi esplosioni squarciarono quella notte insonne, di lacrime e preghiere, di terrore e di speranza: erano i guastatori della Wehrmacht che applicavano l’ordine di lasciare terra bruciata.
Saltarono in aria i pontili e le banchine, gli impianti chiave delle acciaierie e le postazioni costiere, tra cui la batteria Sommi Picenardi di Punta Falcone. Mine e trappole esplosive furono disseminate dappertutto, specie in porto e nell’area industriale. Decine di relitti andarono a ostruire la rada di Portovecchio. Fu fatto saltare persino il piccolo molo di Marina, di fronte alla palazzina della Lega Navale e al vecchio ospedale.
Erano macerie che andavano a sommarsi alle macerie delle bombe degli aerei alleati. Ferite che si sommavano ad altre ferite. Ma era il segnale tangibile della ritirata. L’alba della liberazione trovó una cittá deserta e spettrale, immersa in una calma irreale.
Poche ore dopo le prime jeep americane della V Armata Usa raggiunsero la periferia, attraversando quartieri devastati e sconvolti.
Il primo reparto a entrare a Piombino, in maniera piuttosto movimentata, fu un distaccamento del 39th Us Combat Engineer Regiment: avuto l’ordine di raggiungere il porto nel più breve tempo possibile, allo scopo di predisporre un piano di ripristino immediato degli impianti marittimi per sostenere l’avanzata alleata verso Livorno e la linea Gotica, gli zelanti genieri americani non si accorsero di aver sopravanzato la loro stessa prima linea. Giunsero così per primi alle porte dell’abitato, convinti di essere in zona già liberata dai fanti della 36th Infantry Division “Texas” , che stavano in quel momento prendendo possesso delle frazioni di Vignale e Riotorto, spingendosi poi verso Venturina e Campiglia Marittima.
Fu in quei minuti che si sfiorò la tragedia. Un gruppetto di giovanissimi quanto improvvisati partigiani, messisi a guardia delle vie d’accesso, alla vista delle jeep del 39th credettero di trovarsi di fronte al ritorno dei tedeschi. Nessuno aveva mai visto un americano: nella concitazione del momento, aprirono quindi il fuoco coi loro moschetti. Ne nacque una breve ma intensa sparatoria, fortunatamente senza vittime da ambo le parti. Dopo i necessari chiarimenti, la via di Piombino era aperta.
Dopo nove mesi di duri combattimenti la V Armata Usa aveva raggiunto una cittá in ginocchio, ferita al cuore, ma viva e determinata a rinascere.
Era il 25 giugno del 1944 e la guerra era finita. Piombino da quel giorno, sia pur tra mille difficoltà e contraddizioni, è davvero libera. —