Il Tirreno

L’intervista

Perse il marito in cava dieci anni fa: «La morte di Paolone mi ha fatto rivivere la tragedia di Nicola un’altra volta»

di Giovanna Mezzana
A destra i funerali di Nicola Mazzucchelli, a sinistra l'ultimo incidente mortale alle cave
A destra i funerali di Nicola Mazzucchelli, a sinistra l'ultimo incidente mortale alle cave

Parla la vedova di Nicola Mazzucchelli, morto in un incidente a Carrara nel 2015: era amico e compaesano di Paolo Lambruschi

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CARRARA. Sono trascorsi quasi dieci anni da quando perse suo marito per un incidente in cava. Lei, Maura Lucetti, allora, aveva 44 anni. Lui, Nicola Mazzucchelli, ne aveva 46. Quattro figli: il più grande 23enne, il più piccolo dieci anni. Il destino vuole che il “suo” Nicola fosse amico – oltreché compaesano, di Miseglia – di Paolo Lambruschi, il dipendente della Cooperativa Canalgrande, 59enne, che lunedì 28 aprile ha perso la vita dopo un volo di almeno un centinaio di metri lungo un ravaneto, schiacciato nell’abitacolo di un dumper, mezzo da cava per la movimentazione delle scaglie, nel bacino di Fantiscritti, nella cava Fossa Ficola. «Quando sento di tragedie così – dice – io rivivo tutto». E così è stato il 28 aprile.

L’ultima telefonata

È lunedì 23 novembre 2015. È la fine della mattinata, Maura ha chiuso il suo negozio di alimentari a Miseglia e va a Carrara per fare acquisti. Le squilla il telefono: è suo marito. «Parliamo dell’auto. Mi sgrida: dovevo portarla dal meccanico, ma sono un po’ tirchia, e non l’avevo fatto». Si salutano. Alle 13,35 squilla il telefono di casa: «“Ci penso io, alla Citroen”, mi rassicura. Ci vediamo dopo». E invece “dopo” non si vedranno.

L’elicottero sulla testa

«Passa qualche minuto – continua – e mi dico: “Richiamalo e digli grazie”». «Sarà trascorsa una decina di minuti, il tempo di andare in bagno, quando sento passare Pegaso». «Ogni volta che arrivava l’elisoccorso e lui era in cava, io lo chiamavo. Lui, rispondendo, mi diceva sempre: “Lo sai che se muoio io, sei una Signora, ma ti è andata male anche questa volta”», scherzava con l’idea della morte, Nicola, forse non poteva fare altrimenti. Non risponde. Alle 13, 52 una perlina di filo diamantato colpisce il cavatore-esperto alla testa: è un proiettile sparato nella cava Calocara 102, nel bacino di Torano.

L’allarme

Lei non sa ancora nulla. «Non mi sono preoccupata, sul momento, a volte il telefono in cava non prendeva la linea». Dopo poco arrivano da lei la cognata e la suocera. «Mia cognata mi dice: “Vieni che Nicola si è fatto male in cava”. Io mi sono sentita persa e non sapevo ancora niente. Era il mio sesto senso. Non capivo più nulla. Dovevo andare a Pisa? Al nostro ospedale? In cava?».

L’ultimo abbraccio

Salgono in auto verso il bacino di Torano. «Sono arrivata là, mi sono fatta un pezzo a piedi, poi mi hanno fermato: “Non si può passare”, mi hanno detto. Ho visto mio marito a terra, c’erano medici e infermieri che tentavano di rianimarlo. Urlavo. Sono arrivati due dei miei figli, urlavano anche loro». Sono minuti interminabili. «Mi sono messa a pregare». Poi «quando medici e infermieri si sono tolti da sopra mio marito, l’ho raggiunto e mi sono sdraiata a terra accanto a lui». “Lasciatemi qui”, dovrebbe aver detto Maura. «Gli ho preso un braccio, me lo sono messo intorno al collo, mi sono fatta abbracciare: era ancora caldo. Sicuramente mi ha sentito, sicuramente ha sentito i suoi figli».

Il messaggio WhatsApp

Il tempo scorre in maniera inesorabilmente crudele: la vita va avanti, ci sono quattro figli. È lunedì 28 aprile. «In un gruppo WhatsApp ho letto: “È morto Paolone”. Ho chiamato mio figlio Lorenzo, il terzo, che lavora in cava, ha voluto prendere il posto di suo padre, giovanissimo. E in quel momento ho rivissuto tutto ciò che avevo vissuto con la morte di mio marito». «Ho chiamato mia suocera: io ho avuto un grande dolore ma lei ne ha sopportato uno più forte del mio».

La vita “monca”

Maura riflette se e in che modo la sofferenza per la morte di Nicola sia mutata. E conclude che non la è: «Manca il pezzo di un mosaico e vivo come se stessi componendo un puzzle che non si completa mai». Parla di lei ma parla anche di chi possa aver vissuto una tragedia simile alla sua: «Chi muore va in Paradiso, forse passa dal Purgatorio. Ma chi resta vive un ricordo che si ripropone all’infinito».

Che madre sono?

Si fa persino un’analisi di coscienza questa donna. «Non mi reputo una brava mamma, cioè lo sono stata per i primi 25 anni, finché c’è stato mio marito. Di feste e festicciole, per i miei figli, ne ho fatte tante, ma ho anche sbagliato». Gli psicologi sostengono che non c’è miglior genitore di chi riconosce di essere fallibile. Ebbene, il primo figlio di Maura, 23 anni aveva alla morte del padre, lavora in segheria; il secondo, 22 anni al momento della tragedia, è ingegnere; il terzo figlio, 17 anni quando Nicola scomparve tragicamente, lavora in cava al posto del padre; il quarto, l’ultimo, aveva dieci anni quando rimase orfano, studia all’Università. Parlano i fatti, Maura.

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