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Livorno, cocaina fra le banane in porto: le parole del pentito ai magistrati

Un recupero di droga da parte della guardia di finanza sul porto di Livorno (foto d'archivio)
Un recupero di droga da parte della guardia di finanza sul porto di Livorno (foto d'archivio)

Ai pubblici ministeri, Errico D'Ambrosio, ha parlato di ben due recuperi di "polvere bianca" avvenuti nel porto di Livorno

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Livorno Due operazioni di recupero della cocaina sul porto di Livorno, di cui ha indicato le persone coinvolte: Ernesto Modafferi, conosciuto come “Tommy” ed esponente della cosca ’ndranghetista dei Molè, Mario Palamara (arrestato due anni fa in Spagna, a Fuengirola, dove era latitante) e un narcotrafficante albanese conosciuto con il soprannome di “Porsche” e al momento non identificato.

Sono queste le rivelazioni alla magistratura del pentito Errico D’Ambrosio, affiliato alla cosca ‘ndranghetista Molè, alla direzione distrettuale antimafia, che nelle settimane scorse per quest’operazione ha messo a segno 30 arresti. Le indagini, dirette dai pubblici ministeri Luca Tescaroli e Leopoldo De Gregorio e delegate alla guardia di finanza di Pisa, hanno rivelato un presunto sistema ben collaudato, in cui i traffici di droga venivano gestiti da narcos albanesi che operavano alla pari con le mafie italiane, fra cui la ’ndrangheta. I criminali, secondo la ricostruzione degli inquirenti, sarebbero stati in grado di trattare direttamente con i cartelli sudamericani (colombiani in particolare) per l’acquisto e il trasporto della cocaina verso i porti italiani ed europei. Livorno era uno fra questi: i carichi di “polvere bianca” da decine di chili l’uno erano nascosti all’interno di contenitori di frutta, spesso banane, e venivano recuperati grazie ai sistemi gps in grado di localizzarli in tempo reale. Molto spesso, quando la guardia di finanza nel nostro porto ha intercettato gli “esfiltratori”, all’interno dei container frigo (partiti sempre dal porto ecuadoregno di Guayaquil, sull’Oceano Pacifico) c’erano appunto i ricevitori gps, sempre utilizzati per consentire a chi recuperava la droga di aprire il container giusto nel terminal della Darsena Toscana, dove arrivano i contenitori.

Per comunicare fra di loro, le persone coinvolte, avrebbero usato speciali dispositivi criptati, dal costo di cinquemila euro l’uno e comprati in Spagna. Una delle operazioni livornesi non andata a buon fine avrebbe riguardato un carico di quattro quintali di cocaina, che però è stato smarrito nel 2022. l

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