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Livorno, viaggio negli Orti urbani di via Goito tra ortaggi e il fantasma villette: «Diteci che qui non costruiranno»

di Luca Balestri
Livorno, viaggio negli Orti urbani di via Goito tra ortaggi e il fantasma villette: «Diteci che qui non costruiranno»

Il timore riguarda il possibile ok all’edificazione con il nuovo piano operativo del Comune

09 luglio 2024
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Livorno Per chi lo vive quotidianamente, lo spazio degli Orti urbani non è uno spazio occupato, è una comunità che fa dell’aggregazione sociale la sua missione. Nato nel 2013 da un’idea dell’allora Comitato dei disoccupati, per dare alle persone senza lavoro una seconda possibilità, oltre che un aiuto alimentare autoprodotto, oggi sono circa 110 le persone che gestiscono un orticello nel «polmone verde del quartiere», uno spazio che è stato abbandonati dai privati che lo possedevano.In questi giorni gli orti Urbani, che si trovano tra via dell’Ambrogiana, via dell’Erbuccia, via Da Verrazzano e via Goito, dove si trova l’entrata principale, sono tornati al centro della cronaca. Il motivo? «C’è chi vorrebbe tornare a costruire qui, distruggendo quest’area verde in mezzo alla città». A dirlo sono Nicoletta Mattei e Matteo Scateni, che fanno parte del Comitato. Ma un progetto reale di possibili costruzioni ancora non c’è. Si vocifera della possibilità che vengano costruite tre villette. «Se fosse così non sarebbe più un orto, ma una zona residenziale con un minuscolo spazio verde».

La ragione per cui si è tornati a parlare della possibilità di cementificare sui 110 ettari di verde è il fatto che da poco è stato approvato il piano operativo dal Comune. E con la giunta di nuovo nel pieno dei suoi poteri, il terrore è l’eventuale edificazione nell’area. «Prima che lo gestissimo noi, questo posto è sempre stato in abbandono, pieno di sterpe e di rovi, ed era diventato una discarica abusiva. Ci sono stati trovati lavatrici, frigoriferi, motorini abbandonati, e addirittura l’amianto», dicono i due rappresentanti del comitato. «Con la sinergia di vari collettivi, compreso quello dell’ex Caserma occupata, nel 2013 abbiamo creato questo progetto, nato in maniera spontanea, senza nessuna istituzione». Le idee di chi ha creato il progetto degli orti urbani, e di chi oggi lo gestisce, sono chiare. Lo si vede anche dai simboli che si trovano camminando tra i pezzi di terra. Bandiere issate, o attaccate alle staccionate, tutte riconducibili alle battaglie che diversi collettivi di sinistra portano avanti in città da anni: "No Tav", una bandiera a favore dell’acqua bene comune, vessillo del referendum che si tenne nel 201 su questo tema. Non mancano scritte e bandiere con "Pace" e "Free Gaza".

«Gli orti urbani sono aperti a tutti, ma il punto ristoro lo abbiamo dovuto chiudere, con delle grate, per proteggere i beni più danneggiabili. Tavoli, sedie, e un forno a legna che quando il punto era aperto è stato rovinato - dice Scateni-. Siamo riusciti a chiuderlo con i soldi dei collettivi». E subito vicino al punto ristoro, una serie di lampadine a filo che la sera illumina il percorso. «Prendiamo l’elettricità da un generatore. Tutti i collettivi hanno messo dei soldi per quello che è stato fatto qui. Così come i collettivi hanno la "cassa di resistenza", completamente autofinanziata, che è servita a pagare le spese di chi ha subito dei processi per difendere questo posto». È "collettività" dunque la parola che domina i discorsi di Scateni e Mattei: «i valori con i quali abbiamo costruito questo progetto sono rimasti. Abbiamo creato il frutteto comune, che quando riaprirà sarà accessibile anche agli abitanti del quartiere, per prendere la frutta. E nessuno qui è proprietario dei pezzi d’orto, ma si è solo gestori - continuano i due-. A prendere le decisioni è solo l’assemblea, formata da tutti i gestori dei vari orticelli». E di una cosa l’assemblea è convinta: «Siamo disposti a dialogare con la municipalità solo se ci viene garantito per iscritto che nessuna parte dell’orto verrà cementificata. Se così fosse, noi saremmo disposti a prendere la nostra roba e ad andarcene».

Le condizioni per dialogare con il Comune sono chiare. Dove vengono coltivati pomodori, peperoni, peperoncini, melanzane e cetrioli, e dove nascono pesche e pere, la natura non può essere osteggiata. «Per noi questa zona deve rimanere verde. Il Comune ci potrebbe fare un’oasi», dice Scateni. E se il Comune volesse costruirci un parco pubblico? «Qui vicino ci sono Villa Lloyd e Villa Mimbelli, non capisco perché si debba fare un altro parco. E non so nemmeno perché per le villette i soldi ci siano, mentre per sistemare uno spazio verde no». Quando ne parla Scateni si impunta. «Secondo il Comune questa zona sarebbe a rischio idrogeologico, ma sotto gli orti c’è la falda acquifera del fiume che durante l’alluvione del 2017 straripò (Rio Maggiore, ndr) . La perizia che ha detto questo è di parte, solo perché si vuole costruire». Scateni non se la prende solo con il Comune, ma anche con i residenti del quartiere, che spesso si espongono contro gli orti urbani. «Non capiamo cosa abbiano contro gli orti. Fossi in loro, vorrei la garanzia che queste case non affondassero. Perché se costruiscono qui, questo rischio c’è. E gli orti non danno noia alle abitazioni: non c’è un albero che tocca le case, e la manutenzione del verde è ordinaria». Sulla bontà del progetto torna anche Mattei. «Prima che arrivassimo noi questo posto era degradato. Oltre che uno spazio verde, questo deve rimanere un posto dove si crea la socialità - dice-. Purtroppo degli orti si parla solo quando si vuol discutere di abusivismo. Contro il cemento, siamo disposti a difendere gli orti in tutte le maniere»

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