Il Tirreno

Livorno

Morte di Jacopo: chiesta l’archiviazione, i genitori: «Ha vinto l’omertà, vogliamo andare via»

Federico Lazzotti
Morte di Jacopo: chiesta l’archiviazione, i genitori: «Ha vinto l’omertà, vogliamo andare via»

Livorno , a due anni dal tragico incidente la Procura ha deciso di non proseguire le indagini. lo sfogo del padre: «Chi sa la verità è rimasto in silenzio»

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LIVORNO. Tre marzo 2017, sera. Il corpo di Jacopo Pieri, diciassette anni da compiere, viene trovato agonizzante sull’asfalto di via Sicilia, nella zona di Coteto. “Pino”, come lo chiamavano gli amici, morirà il giorno successivo in ospedale. Stava tornando a casa dagli allenamenti in sella al suo motorino quando un’auto (o forse uno scooter), ha tagliato la rotatoria di via Bedarida facendolo cadere a terra prima di essere investito da una macchina che arrivava dalla direzione opposta. (IL DOSSIER SUL CASO)

Ventisestte mesi più tardi, dopo un’indagine lunga, dolorosa, complicata e criticata, il pubblico ministero Giuseppe Rizzo ha firmato la richiesta di archiviazione nei confronti dell’unico indagato, un trentenne livornese accusato di omicidio stradale e omissione di soccorso in seguito a una lettera anonima in cui un (presunto?) testimone descriveva dinamica, modello e targa dell’auto pirata. Da allora però nessuna conferma ulteriore, né dalle intercettazioni telefoniche, né dagli accertamenti sull’auto, né dalle nuove verifiche effettuate negli ultimi mesi su sollecitazione dei genitori. Né, soprattutto, da chi quella notte maledetta ha assistito all’incidente e ha preferito l’omertà alla verità. Ecco perché, ad oggi – secondo la Procura – gli indizi raccolti non sono concordi e convergenti per pensare di proseguire l’azione penale nei confronti del trentenne e chiederne il rinvio a giudizio.

Una decisione alla quale la famiglia di Jacopo che in due anni e mezzo ha cercato di arrivare alla verità attraverso appelli, indagini parallele e perfino una lettera al presidente Mattarella, non si opporrà. Questo nonostante rabbia, lacrime, delusione e dolore. «L’avvocato – racconta il padre Andrea – ci ha chiamato due volte per sapere cosa volessimo fare. Ma gli abbiamo detto che ci vogliamo fermare, basta. Siamo delusi – spiega – soprattutto da una parte della città, quella che ha visto cos’è accaduto ed è rimasta in silenzio preferendo l’omertà e negando a noi e a Jacopo di avere giustizia. Ma anche dalle istituzioni, visto che ci avevano promesso un supporto, a cominciare dall’ex sindaco, e invece nessuno ci ha più chiamati. Ecco perché stiamo pensando di trasferirci altrove».

Andrea Pieri ci tiene, allo stesso modo, a ringraziare i molti che non li hanno lasciati soli. «Tante persone – ammette – ci hanno aiutato, ci sono state vicino. Penso agli amici di Jacopo che ogni giorno mi mandano messaggi e continuano a organizzare eventi per ricordarlo. Ai nostri amici, agli avvocati che ci hanno seguito». Sull’indagine spiega. «Due errori penso siano stati fatti. Il primo è aver guardato solo le telecamere intorno al luogo dell’incidente e non quelle nelle strade vicine. E sopratutto aver sequestrato la macchina dell’indagato subito dopo la lettera anonima: se avesse delle responsabilità è come avergli dato un vantaggio». L’ultima riflessione è la più amara. «Se schiacciano un cane – si sfoga – si muove mezza città, è morto un ragazzo di 17 anni e la gente è rimasta zitta...».

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