L’allarme
Ucciso a 17 anni dall'auto pirata, ma non c'è ancora un colpevole. Mattarella scrive alla famiglia Pieri
Livorno, il presidente della Repubblica invia una lettera alla famiglia di Jacopo Pieri in un tragico incidente stradale causato da un'auto piratai: "Vicino al vostro dolore: indagine difficile, abbiate fiducia"
Jacopo Pieri è morto a nemmeno 17 anni in seguito a un incidente stradale avvenuto la sera del 3 marzo 2017 a Livorno, nella zona di Coteto. Secondo la lettera anonima arrivata al comando della Municipale tre giorni più tardi a innescare la tragica carambola sarebbe stata la manovra di un’auto pirata che ha imboccato una strada contromano sbalzando il giovane calciatore nell’altra corsia dove è stato travolto da una seconda macchina. Entrambi gli automobilisti però non si sono fermati dopo lo schianto e venti mesi di indagini non hanno prodotto prove in grado - secondo la Procura - di chiedere il processo per l’unico indagato. La famiglia del diciassettenne ha scritto appelli cercando di scuotere le coscienze, ma fino ad oggi a vincere è stata l’omertà di chi ha visto e ha preferito restare in silenzio.
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LIVORNO. «Desidero innanzitutto esprimerle la più sincera e umana vicinanza per la tragica e prematura perdita di suo figlio Jacopo». Comincia così la lettera inviata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, attraverso il segretario generale del Quirinale, ad Andrea Pieri, il padre di “Pino”, il giovane scomparso a nemmeno diciassette anni il 3 marzo 2017 in un tragico incidete stradale causato da un’auto pirata e rimasto ad oggi senza colpevoli.
A rivolgersi al capo dello Stato, ad agosto, era stata la famiglia della vittima. «Visto che l’inchiesta penale – racconta Pieri – non stava portando a niente e nemmeno gli appelli fatti sul Tirreno hanno smosso le coscienze di chi conosce la verità, non volevo avere rimorsi e ho inviato questa lettera a Mattarella per chiedere il suo aiuto».
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Due pagine nelle quali il padre di Jacopo racconta dell’incidente causato «dalla scellerata manovra di un’auto che per risparmiare una ventina di secondi del proprio tempo, ha preso un incrocio in contromano (tra via Sicilia e via Bedarida ndr). Sbalzato sulla corsia opposta Jacopo è stato investito da un’altra auto che sopraggiungeva nella direzione opposta. Né l’uno, né l’altro conducente – spiega – hanno avuto la coscienza e la pietà di fermarsi prestando soccorso».
Dà conto della indagini successivi della polizia municipale: «per quanto portate avanti con impegno e grande trasporto umano ed emotivo, non sono riuscite, anche a causa di procedure investigative lacunose e non particolarmente efficaci, ad assicurare alla giustizia i responsabili di tale atrocità».
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Questo – prosegue – «nonostante le numerose persone interrogate, nonostante l’indicazione attraverso una lettera anonima, dell’esatta dinamica dell’incidente, del modello e della targa di una delle auto coinvolte, nonostante la presenza di un video che ha ripreso l’attimo dell’incidente, gli inquirenti non hanno saputo raggiungere alcun risultato».
E soprattutto ha raccontato di quel tunnel interiore fatto di buio, pieno di dolori e senza sorrisi, dove tutta la famiglia Pieri è costretta a sopravvivere dal giorno della tragedia. «So che può comprendermi – scrive Pieri a Mattarella – per aver vissuto in prima persona la perdita violenta, improvvisa e inaspettata di un proprio caro. So che conosce la quotidianità della sofferenza e l’inesorabile necessità di doverla sopportare. Ecco, è proprio in questa necessità di dover sopportare e sopravvivere al dolore che una volta patita una perdita così grave si cerca riparo almeno nella Giustizia. Una Giustizia che non ha niente a che vedere con la vendetta, ma piuttosto con la Morale, con l’Equità, con il Diritto, con la necessità di porre i responsabili di fronte alle proprie colpe, e costringerli a fare i conti con la propria coscienza».
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Rispetto a questa richiesta di giustizia, magari con un interessamento in prima persona da parte del capo dello Stato nella vicenda giudiziaria, la risposta è chiara. «Pur nella migliore comprensione del suo stato d’animo, mi rincresce doverle comunicare che non risulta possibile compiere in questa sede una valutazione dei fatti da le evidenziati, né in alcun modo intervenire nel procedimento giudiziario in corso. La invito – conclude nella ricevuta a fine ottobre – a riporre piena fiducia nella magistratura, tenuto conto della complessità delle indagini e degli accertamenti necessari a fare piena luce sulla vicenda processuale».