Ansia da esposizione all’amianto: «È una malattia professionale». Il caso dell’operaio toscano
Riconosciute le ragioni di un ex carpentiere dello stabilimento di Larderello: i motivi
GROSSETO. Fabio a maggio compirà 58 anni. Da tempo, da troppo tempo, convive con l’angoscia di potersi ammalare. Ex operaio di Enel a Larderello – carpentiere, tirafilista e manutentore degli impianti di alta tensione – ha visto tanti suoi colleghi rimanere vittime delle conseguenze dell’esposizione all’amianto. Lui no, non ha avuto nulla, ma ha sviluppato uno “stato ansioso-ansia anticipatoria” connesso proprio alla paura che un giorno tutto ciò potesse o possa ancora capitare anche a lui. L’Inail non ha mai voluto riconoscere questa patologia psichica come malattia professionale. Ma Fabio ha presentato ricorso in Tribunale e il giudice gli ha dato ragione.
La percentuale
Caso raro, anzi unico in Italia secondo i suoi legali, quello di Fabio Del Mecio, che adesso vede l’Inail condannato a indennizzarlo per il danno biologico subito in seguito al disturbo psichico di origine professionale. In altre parole, il Tribunale del lavoro ha riconosciuto come malattia professionale dovuta all’esposizione all’amianto una patologia diversa da quella normalmente associata (come mesotelioma, tumori pleurici o adenocarcinoma del polmone) ; e – aspetto anche questo singolare e innovativo – lo ha fatto nei confronti di una persona che fortunatamente fino a oggi non ha sviluppato patologie tumorali. Gli è stata riconosciuta una percentuale del 6 per cento.
Il lavoro
Fabio Del Mecio aveva lavorato a Larderello tra il 1986 e il 1998. Da allora lavora altrove, sempre nel settore elettrico. La sua storia è riassunta nel ricorso che ha presentato al giudice Giuseppe Grosso attraverso gli avvocati Leonardo Befi e Marco Tufo. Nel 1995 l’Asl di Pisa aveva inviato alla direzione aziendale Enel una raccomandazione per il controllo sanitario di tutto il personale che da almeno cinque anni lavorava nei reparti in cui si erano verificati casi di asbestosi. Anche nel reparto di Del Mecio, che era venuto a contatto diretto con materiali contenenti amianto, all’epoca utilizzati per coibentare i vapordotti, le turbine e parti di macchinario ad alta temperatura. Ma i controlli non c’erano stati. Nel 2008, Fabio aveva chiesto al giudice del lavoro di vedersi riconosciuto il diritto al riconoscimento dell’esposizione all’amianto. Il ctu aveva concluso che, tra il 1986 e il 1992, vi era stata «un’esposizione significativa e superiore ai valori soglia previsti dall’attuale normativa; nei successivi quattro anni è verosimile che tali livelli di esposizione siano rimasti di entità rilevante» mentre dal 1998 non vi era stata alcuna esposizione. Ma la domanda non era stata accolta, per mancanza dei requisiti amministrativi. Fabio aveva visto che i suoi colleghi si stavano ammalando: e la sua preoccupazione di poter rimanere anch’egli vittima di una patologia aggressiva e letale aveva drasticamente cambiato il suo umore. Era andato da una specialista dell’Asl.
Quella che stava sviluppando era «una psicopatologia in relazione alla “rabbia” per non essere stato adeguatamente informato e protetto ai tempi dell’attività lavorativa a rischio presso l’area geotermica di Larderello e alla “paura” persistente di contrarre gravi patologie a causa dell’esposizione all’amianto, le quali, come è noto, in molti casi possono condurre al decesso e possono svilupparsi a distanza di 20, 30 o 40 anni dall’esposizione», era stato sottolineato nella domanda che Fabio aveva presentato all’Inail nel corso del 2021, finalizzata proprio al riconoscimento del disturbo dell’umore quale malattia professionale.
In Tribunale
La domanda però era stata respinta. Così Fabio si era rivolto al Tribunale e il giudice Giuseppe Grosso aveva nominato proprio per questo motivo un nuovo specialista, il dottor Luigi Galassi, che insieme alla dottoressa Federica Vanelli aveva confermato il quadro clinico di disagio psichico, per la «paura di ammalarsi» di cui soffre, secondo la letteratura clinica, il 75 per cento di coloro che sono stati esposti ad amianto: ansia, deflessione del tono dell’umore, disturbi somatici, tendenza al ritiro sociale e varie forme di depressione sono gli effetti. Che si manifestano in coloro che nel corso del tempo hanno realizzato che molti dei loro colleghi hanno perso la vita a causa della presenza di amianto. Il consulente tecnico aveva concluso che per Fabio Del Mecio esiste «una discreta probabilità di nesso causale tra il disturbo psichico e l’esposizione all’amianto per circa dieci anni, determinando la patologia denunciata e meritevole del riconoscimento di un danno biologico pari al 6 per cento». L’Inail adesso potrà proporre appello contro questa sentenza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA