Preso a sprangate fuori dalla discoteca a Follonica, il racconto choc di un 21enne: «Pensavo di morire»
All’uscita dal locale l’assalto da parte di altri giovani con manganelli a scatto e bottigliate
FOLLONICA. «Ho vissuto un incubo, dieci minuti di orrore in cui ho avuto davvero paura di non farcela. Ho pensato che sarei morto». Dall’altro lato del telefono la voce è ancora affaticata. D’altronde il referto del pronto soccorso di Massa Marittima parla chiaro: lieve trauma cranico, ferite multiple sulla testa – con otto punti –, occhio tumefatto e per ora quindici giorni di prognosi. «Ho ancora dolori dappertutto, ma passerà: certo, sarà un brutto Natale per me e la mia famiglia», dice il 21enne Marco, residente a Grosseto.
La serata
Il nome è di fantasia, il giovane chiede l’anonimato perché sì, dallo scorso sabato notte, quando con altri quattro amici grossetani – tra cui tre 17enni – è andato a ballare in una discoteca a Follonica, ha paura. Quella che doveva essere una normale e tranquilla serata di spensieratezza si è trasformata in un incubo dopo che una banda di una ventina di ragazzi li ha aspettati fuori, vicino al Sox, e li ha aggrediti. Lui, in particolare, è stato picchiato con spranghe, bottiglie di vetro e manganelli a scatto corredati da spuntoni di vetro. Gli aggressori «non li conoscevamo, avranno avuto dai 14 ai 20 anni. Ci hanno assalito fuori dalla discoteca. La loro intenzione era quella di farci male, farci passare un orrore. E senza alcun motivo», racconta il giovane.
L’incubo
L’incubo è iniziato verso le tre di notte di domenica scorsa (22 dicembre). I cinque amici escono dalla discoteca e, racconta il 21enne aggredito, dopo un po’ si vedono davanti questo gruppo di ragazzi, già incontrati dentro il locale. «Oh, che avete da guardare, hai da dirmi qualcosa? », si sentono apostrofare. «No no, stiamo solo andando alla macchina», rispondono Marco e i suoi amici per smorzare i toni. Non fanno nemmeno in tempo a finire la frase che i giovani tirano fuori dai giubbotti i manganelli e comincia l’aggressione. «Prima – racconta Marco – se la sono presa con il mio amico, anche lui maggiorenne. Allora mi sono avvicinato per difenderlo e mi hanno assalito in cinque-sei. Sono stato accerchiato. Mi hanno buttato a terra e mi hanno picchiato: calci, pugni, manganelli, bottiglie. Pensavo che sarei morto. Ho cercato di pararmi dai colpi mettendo le braccia davanti al volto, sopra la testa: miravano a quella».
La banda
Nel frattempo la banda, continua, «aveva trattenuto, separandoli, gli altri tre miei amici minorenni, che per fortuna non hanno subito lesioni. Mentre mi picchiavano ho avuto paura non solo per me, ma anche per loro. “Dove sono finiti gli altri? ”, urlavo. Avevo paura che me li avessero ammazzati». A un certo punto l’altro amico di Marco, maggiorenne, si riesce a liberare e dice di aver chiamato le forze dell’ordine. I picchiatori per un attimo si interrompono e si allontanano. L’amico ne approfitta per aiutare Marco a rialzarsi e a nascondersi, tutti e cinque, lì vicino. «Mi toccavo la testa, avevo le mani piene di sangue ma pensavo solo che ero contento di esserci riuniti», dice. A un certo punto spuntano i fanali di una macchina. I cinque gridano aiuto. La macchina si ferma e dall’interno si sente qualcuno che urla “sorpresa”. «Erano altri ragazzi ma sempre della stessa banda di prima», spiega Marco. Ricomincia il pestaggio, che dura poco perché poco dopo arrivano carabinieri e ambulanza, allertati dai giovani grazie al localizzatore sul cellulare.
I soccorsi
«Quando abbiamo visto arrivare l’auto dei carabinieri – ammette Marco – ci siamo sentiti al sicuro». L’incubo, durato all’incirca dieci minuti, finisce con la corsa al pronto soccorso. «È stata un’esperienza che mi porterò dietro per sempre. Abbiamo vissuto un orrore – dice il giovane – che non potevamo mai immaginare di provare in prima persona senza aver fatto niente. Vado in discoteca da quando ho 16 anni, e non mi era mai successa una cosa del genere. Siamo stati presi di mira». Marco e i suoi amici infatti avevano già avuto dentro il locale un breve scambio con questo gruppo di ragazzi, che avevano cominciato a spintonare i grossetani mentre ballavano. Poi tre degli amici di Marco, racconta il giovane, erano stati chiusi dentro il bagno, con la minaccia di un pestaggio, da alcuni membri della banda. Per evitare situazioni pericolose, Marco e l’amico avevano avvertito il buttafuori, che aveva redarguito il gruppo. La questione sembrava conclusa lì senza conseguenze. Anzi, un ragazzo si era anche scusato con Marco e gli altri: «Diamoci una stretta di mano», aveva detto loro. Poi l’assalto. Così nel cuore della notte arriva la chiamata alla mamma e al babbo di Marco. «Quando dal 118 mi hanno detto che mio figlio era stato aggredito – assicura la mamma – il cuore s’è fermato. Una paura che non auguro a nessuno, l’unica cosa a cui pensi è vestirti e andare di corsa in ospedale».
Lo sfogo
Un’aggressione «brutale e senza alcuna motivazione. Perché è successo? Per il nulla, mio figlio e i suoi amici – prosegue la donna – sono ragazzi tranquilli e non avevano fatto niente di male». E se le forze dell’ordine non fossero arrivate in breve tempo «sono sicura che me lo avrebbero ammazzato. Erano ben organizzati con manganelli con punte di vetro all’estremità, spranghe, bottiglie. È gente che va a cercare l’aggressione. Per fortuna mio figlio è vivo, ma cose di questo genere non si devono ripetere», sottolinea la mamma, che ha già sporto denuncia ai carabinieri. «Mio figlio – aggiunge – si è solo difeso, altrimenti chissà cosa succedeva. Non vogliamo vendetta, vogliamo solo giustizia perché episodi simili non si devono ripetere e nessuno li deve vivere».
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